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L'arte deve essere provocatoria
annika- C'è un pò di Divino in te!
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Re: L'arte deve essere provocatoria
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Re: L'arte deve essere provocatoria
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Re: L'arte deve essere provocatoria
Gino De Dominicis
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Gino de Dominicis (Ancona, 1 aprile 1947 – Roma, 29 novembre 1998) è stato un artista italiano.
È stato uno controverso artista italiano del secondo dopoguerra, espresse la sua arte utilizzando diverse tecniche definendosi pittore, scultore, filosofo ed architetto).
Non inquadrabile in una precisa corrente artistica: né arte povera, né Transavanguardia, e soprattutto respingendo l 'arte concettuale' irridendola, il suo lavoro si caratterizza per una totale indipendenza sia dalle mode che dai gruppi della neoavanguardia. In vita fu circondato da un alone di mistero e di irreperibilità, per la sua volontà di isolare il proprio lavoro dall'omologazione del mondo dell'arte, centellinando sia mostre che apparizioni pubbliche. Per sua scelta non furono mai pubblicati cataloghi o libri sulla sua produzione, né attribuì alla fotografia alcun valore documentario o pubblicitario della propria opera
Nato ad Ancona nel 1947, Gino de Dominicis si formò presso l'Istituto d'arte della città, sotto la guida di Ettore Guerriero.
Espose per la prima volta le sue opere in una galleria della città a diciassette anni, nel 1964 caratterizzandosi per una sagace vena figurativa. Dopo un periodo di viaggi si stabilì a Roma, dove espose nel 1969 alcune opere realizzate negli anni precedenti e pubblicò la sua Lettera sull'immortalità del corpo.
La ricerca artistica di De Dominicis può essere divisa in due periodi, il primo compreso tra la fine degli anni sessanta e la fine degli anni settanta, approssimativamente scambiato per "concettuale", e il secondo compreso tra i primi anni ottanta e il 1998, anno della sua morte, in cui egli riprende con forza nuova e innovativa la attività di pittore figurativo con immagini inusitate relative ai suoi pensieri sul mondo sumero, alla ipotesi di una vita siderale ultraterrena, e corrispondenti al tema ricorrente della immortalità del corpo.
Del primo periodo di attività rimangono alcuni lavori: del 1969 sono i due filmati “Tentativo di far formare dei quadrati invece che dei cerchi attorno ad un sasso che cade nell'acqua” e “Tentativo di volo”, sempre del 1969 è la scultura "Il tempo, lo sbaglio, lo spazio" dove uno scheletro umano con i pattini a rotelle disteso per terra mantiene in equilibrio con un dito un'asta mentre tiene uno scheletro di cane al guinzaglio. Espose nello stesso anno degli oggetti invisibili come “il Cubo, il Cilindro, la Piramide”, mostrati solo dai loro perimetri tracciati sul pavimento.
Sempre alla fine degli anni sessanta apparivano per la prima volta le figure mitologiche di Urvasi e Gilgamesh, destinate a essere rappresentate in molte forme e in molte occasioni durante tutta l'attività artistica di De Dominicis.
Del 1970 si ricorda Zodiaco dove rappresentò concretamente i dodici segni zodiacali esponendo un toro, un leone vivo, una giovane vergine e due pesci morti appoggiati sul pavimento.
Nella Biennale di Venezia del 1972 presenterà l'opera “Seconda soluzione d'Immortalità, (L'Universo è Immobile)” nella quale il signor Paolo Rosa, un giovane affetto dalla sindrome di Down, sedeva in un angolo di fronte ad un cubo invisibile, a una palla di gomma (caduta da due metri) nell'attimo precedente al rimbalzo e a una pietra in attesa di movimento.
Nel 1972 terrà a Roma un cocktail per festeggiare il superamento del secondo principio della termodinamica, nel 1975 a Pescara una mostra il cui ingresso era riservato ai soli animali.
Dalla fine degli anni settanta De Dominicis si dedica quasi esclusivamente a opere pittoriche e disegni quasi esclusivamente figurativi, realizzati con tecniche basilari come la tempera e la matita su tavola o su carta, più raramente su tela.
In questo periodo partecipò a altre manifestazioni d'importanza internazionale, oltre che a diverse presenze alla Biennale di Venezia, nel 1982 non accettò l'invito al documenta di Kassel, nel 1985 vinse il Premio internazionale della Biennale di Parigi.
Nel 1990 in occasione di una mostra antologica al Museo d'Arte Contemporanea di Grenoble espose per la prima volta un gigantesco scheletro umano lungo ventiquattro metri, largo nove e alto quasi quattro sdraiato al suolo, perfettamente corretto da un punto di vista anatomico tranne che per il lungo naso, un tema, quello dei lunghi nasi caratteristico e ricorrente in molte sue opere.
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Gino de Dominicis (Ancona, 1 aprile 1947 – Roma, 29 novembre 1998) è stato un artista italiano.
È stato uno controverso artista italiano del secondo dopoguerra, espresse la sua arte utilizzando diverse tecniche definendosi pittore, scultore, filosofo ed architetto).
Non inquadrabile in una precisa corrente artistica: né arte povera, né Transavanguardia, e soprattutto respingendo l 'arte concettuale' irridendola, il suo lavoro si caratterizza per una totale indipendenza sia dalle mode che dai gruppi della neoavanguardia. In vita fu circondato da un alone di mistero e di irreperibilità, per la sua volontà di isolare il proprio lavoro dall'omologazione del mondo dell'arte, centellinando sia mostre che apparizioni pubbliche. Per sua scelta non furono mai pubblicati cataloghi o libri sulla sua produzione, né attribuì alla fotografia alcun valore documentario o pubblicitario della propria opera
Nato ad Ancona nel 1947, Gino de Dominicis si formò presso l'Istituto d'arte della città, sotto la guida di Ettore Guerriero.
Espose per la prima volta le sue opere in una galleria della città a diciassette anni, nel 1964 caratterizzandosi per una sagace vena figurativa. Dopo un periodo di viaggi si stabilì a Roma, dove espose nel 1969 alcune opere realizzate negli anni precedenti e pubblicò la sua Lettera sull'immortalità del corpo.
La ricerca artistica di De Dominicis può essere divisa in due periodi, il primo compreso tra la fine degli anni sessanta e la fine degli anni settanta, approssimativamente scambiato per "concettuale", e il secondo compreso tra i primi anni ottanta e il 1998, anno della sua morte, in cui egli riprende con forza nuova e innovativa la attività di pittore figurativo con immagini inusitate relative ai suoi pensieri sul mondo sumero, alla ipotesi di una vita siderale ultraterrena, e corrispondenti al tema ricorrente della immortalità del corpo.
Del primo periodo di attività rimangono alcuni lavori: del 1969 sono i due filmati “Tentativo di far formare dei quadrati invece che dei cerchi attorno ad un sasso che cade nell'acqua” e “Tentativo di volo”, sempre del 1969 è la scultura "Il tempo, lo sbaglio, lo spazio" dove uno scheletro umano con i pattini a rotelle disteso per terra mantiene in equilibrio con un dito un'asta mentre tiene uno scheletro di cane al guinzaglio. Espose nello stesso anno degli oggetti invisibili come “il Cubo, il Cilindro, la Piramide”, mostrati solo dai loro perimetri tracciati sul pavimento.
Sempre alla fine degli anni sessanta apparivano per la prima volta le figure mitologiche di Urvasi e Gilgamesh, destinate a essere rappresentate in molte forme e in molte occasioni durante tutta l'attività artistica di De Dominicis.
Del 1970 si ricorda Zodiaco dove rappresentò concretamente i dodici segni zodiacali esponendo un toro, un leone vivo, una giovane vergine e due pesci morti appoggiati sul pavimento.
Nella Biennale di Venezia del 1972 presenterà l'opera “Seconda soluzione d'Immortalità, (L'Universo è Immobile)” nella quale il signor Paolo Rosa, un giovane affetto dalla sindrome di Down, sedeva in un angolo di fronte ad un cubo invisibile, a una palla di gomma (caduta da due metri) nell'attimo precedente al rimbalzo e a una pietra in attesa di movimento.
Nel 1972 terrà a Roma un cocktail per festeggiare il superamento del secondo principio della termodinamica, nel 1975 a Pescara una mostra il cui ingresso era riservato ai soli animali.
Dalla fine degli anni settanta De Dominicis si dedica quasi esclusivamente a opere pittoriche e disegni quasi esclusivamente figurativi, realizzati con tecniche basilari come la tempera e la matita su tavola o su carta, più raramente su tela.
In questo periodo partecipò a altre manifestazioni d'importanza internazionale, oltre che a diverse presenze alla Biennale di Venezia, nel 1982 non accettò l'invito al documenta di Kassel, nel 1985 vinse il Premio internazionale della Biennale di Parigi.
Nel 1990 in occasione di una mostra antologica al Museo d'Arte Contemporanea di Grenoble espose per la prima volta un gigantesco scheletro umano lungo ventiquattro metri, largo nove e alto quasi quattro sdraiato al suolo, perfettamente corretto da un punto di vista anatomico tranne che per il lungo naso, un tema, quello dei lunghi nasi caratteristico e ricorrente in molte sue opere.
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Re: L'arte deve essere provocatoria
Muore a 104 anni l’architetto Niemayer, padre di Brasilia
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Si è spento a Rio de Janeiro l’architetto Oscar Niemeyer, 104 anni, conosciuto in tutto il mondo come il padre di Brasilia, la nuova capitale del Brasile, inaugurata nel 1960.
È stato tra i pionieri nell’esplorazione delle possibilità, costruttive ed espressive, del cemento armato. Nel 1945 Niemeyer entra nel partito comunista brasiliano al quale resterà sempre fedele. Per lui politica e arte restano indissolubili.
Diceva: “La cosa importante per un architetto è fare quello in cui crede e non fare quello che potrebbe piacere ad altri. Io credo in questo”.
Nel 1947 viaggia a New York per lavorare al Palazzo di Vetro dell’Onu, ma la sua militanza politica gli provocherà dei problemi. Nel 1964 soffre sulla sua pelle il golpe militare. Nel 1967 va esule a Parigi. L’anno seguente realizza il suo più famoso progetto in Italia: la sede della Mondadori a Segrate. Un’architettura imponente e sensuale al tempo stesso
La sua frase più importante: “Non è l’angolo retto che mi attrae, né la linea diritta, dura, inflessibile, creata dall’uomo. Quello che mi affascina è la curva libera e sensuale: la curva che trovo sulle montagne del mio paese, nel corso sinuoso dei suoi fiumi, nelle onde dell’oceano, nelle nuvole del cielo e nel corpo della donna preferita»
Oltre ai principali edifici di Brasilia, Niemeyer è considerato il padre del modernismo in architettura. Le sue opere sono dappertutto. dalla sede centrale del partito comuista francese a aparigi alla Moschea di Algeri. Secondo questo esperto: “Nessuno dei suoi imitatori gli arrivava alla caviglia perché la sua architettura era impossibile da copiare.”.
Nel novembre del 2006 Niemeyer si è risposato all’età di 98 anni con la sua segretaria Vera Lucia Cabreira, più giovane di lui di 38 anni. Era contro il volere di Anna Maria, l’unica figlia, ma gli amici le hanno spiegato che il padre «si era innamorato».
Malgrado gli acciacchi di salute dell’età avanzata è rimasto attivo sino alla fine. Ha finito i suoi giorni nel suo studio di Copacabana, da dove supervisionava i progetti rivedendo anche i disegni. Uno per uno.
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Si è spento a Rio de Janeiro l’architetto Oscar Niemeyer, 104 anni, conosciuto in tutto il mondo come il padre di Brasilia, la nuova capitale del Brasile, inaugurata nel 1960.
È stato tra i pionieri nell’esplorazione delle possibilità, costruttive ed espressive, del cemento armato. Nel 1945 Niemeyer entra nel partito comunista brasiliano al quale resterà sempre fedele. Per lui politica e arte restano indissolubili.
Diceva: “La cosa importante per un architetto è fare quello in cui crede e non fare quello che potrebbe piacere ad altri. Io credo in questo”.
Nel 1947 viaggia a New York per lavorare al Palazzo di Vetro dell’Onu, ma la sua militanza politica gli provocherà dei problemi. Nel 1964 soffre sulla sua pelle il golpe militare. Nel 1967 va esule a Parigi. L’anno seguente realizza il suo più famoso progetto in Italia: la sede della Mondadori a Segrate. Un’architettura imponente e sensuale al tempo stesso
La sua frase più importante: “Non è l’angolo retto che mi attrae, né la linea diritta, dura, inflessibile, creata dall’uomo. Quello che mi affascina è la curva libera e sensuale: la curva che trovo sulle montagne del mio paese, nel corso sinuoso dei suoi fiumi, nelle onde dell’oceano, nelle nuvole del cielo e nel corpo della donna preferita»
Oltre ai principali edifici di Brasilia, Niemeyer è considerato il padre del modernismo in architettura. Le sue opere sono dappertutto. dalla sede centrale del partito comuista francese a aparigi alla Moschea di Algeri. Secondo questo esperto: “Nessuno dei suoi imitatori gli arrivava alla caviglia perché la sua architettura era impossibile da copiare.”.
Nel novembre del 2006 Niemeyer si è risposato all’età di 98 anni con la sua segretaria Vera Lucia Cabreira, più giovane di lui di 38 anni. Era contro il volere di Anna Maria, l’unica figlia, ma gli amici le hanno spiegato che il padre «si era innamorato».
Malgrado gli acciacchi di salute dell’età avanzata è rimasto attivo sino alla fine. Ha finito i suoi giorni nel suo studio di Copacabana, da dove supervisionava i progetti rivedendo anche i disegni. Uno per uno.
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