DIES IRAE
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Vredens Dag
Danimarca, 1943
Regia: Carl Theodor Dreyer
Interpreti: Thorkild Roose, Lisbeth Movin, Sigrid Neiiendam, Preben Lerdorff Rye
Danimarca, 1623. Marte Helfors è accusata di stregoneria. Braccata dalla folla inferocita, con tanto di forconi e torce, si nasconde nella casa di Absalon, noto persecutore di streghe (peggio non le poteva andare). Il pastore è sposato in seconde nozze con la giovane Anne, di cui tempo addietro aveva graziato la madre, accusata di stregoneria, ma non è intenzionato a ripetersi. Merete, la madre del pastore, e’ una megera che odia la nuora e mantiene un costante controllo su tutto e tutti. Martin, Il figlio di Absalon, tornato da un lungo viaggio all’estero, è attratto da Anne, con nefaste conseguenze.. per tutti.
Ambientato poco dopo l’inizio della guerra dei trent’anni e in un periodo storico in cui il luteranesimo era religione di stato da poco più di cent’anni, l’aura di oppressione e incertezza che pervade il film e’ conseguenza del tessuto sociale e politico in cui i personaggi si muovono. Come se non bastasse, il film e’ realizzato tra il 1942 e il 1943, al culmine della seconda guerra mondiale, in piena occupazione nazista (anche se la Danimarca, a tutti gli effetti neutrale, non ne ha subito effettive gravi conseguenze sociologiche).
Dal punto di vista registico o attoriale non ci sono stonature. Bisogna però ammettere quanto un’opera del genere sia lontana dall’attuale gusto estetico (e non). Non erano strani, al tempo, lunghi piani sequenza in cui non accade granché, e il fatto che alcuni attori forzassero la loro interpretazione era accettato. Parevano poco naturali, insomma. Vedere, per esempio, la madre contrastare qualsiasi cosa non sia di suo gradimento senza battere ciglio la rende poco realistica (e pure antipatica).
Vale lo stesso per molti degli altri interpreti, eccezion fatta per la giovane sposa, abile ad essere dimessa e silenziosa all’inizio e (apparentemente) diabolica alla fine. La somma delle parti rende comunque il tutto armonico e mai banale; se non si analizza allo stremo il film finisce con l’essere persino piacevole e veloce da guardare, cosa inaspettata visto il soggetto trattato. Va citata la parte del processo alla strega e la conseguente condanna a morte: Absalon non mostra clemenza, dopo varie torture e un lungo interrogatorio, nonostante Marte avesse a più riprese professato la propria innocenza. Dreyer qui non lesina in particolari: fino ai tragici momenti dell’esecuzione della condanna ti aspetti che la telecamera s’allontani pietosamente, invece la caduta nel fuoco dell’anziana signora, rea confessa di stregoneria (e l’unico indizio dato allo spettatore e’ una frasetta all’inizio del film) e’ terribile quanto rappresentata senza sconti.Il Cinematografo
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Vredens Dag
Danimarca, 1943
Regia: Carl Theodor Dreyer
Interpreti: Thorkild Roose, Lisbeth Movin, Sigrid Neiiendam, Preben Lerdorff Rye
Danimarca, 1623. Marte Helfors è accusata di stregoneria. Braccata dalla folla inferocita, con tanto di forconi e torce, si nasconde nella casa di Absalon, noto persecutore di streghe (peggio non le poteva andare). Il pastore è sposato in seconde nozze con la giovane Anne, di cui tempo addietro aveva graziato la madre, accusata di stregoneria, ma non è intenzionato a ripetersi. Merete, la madre del pastore, e’ una megera che odia la nuora e mantiene un costante controllo su tutto e tutti. Martin, Il figlio di Absalon, tornato da un lungo viaggio all’estero, è attratto da Anne, con nefaste conseguenze.. per tutti.
Ambientato poco dopo l’inizio della guerra dei trent’anni e in un periodo storico in cui il luteranesimo era religione di stato da poco più di cent’anni, l’aura di oppressione e incertezza che pervade il film e’ conseguenza del tessuto sociale e politico in cui i personaggi si muovono. Come se non bastasse, il film e’ realizzato tra il 1942 e il 1943, al culmine della seconda guerra mondiale, in piena occupazione nazista (anche se la Danimarca, a tutti gli effetti neutrale, non ne ha subito effettive gravi conseguenze sociologiche).
Dal punto di vista registico o attoriale non ci sono stonature. Bisogna però ammettere quanto un’opera del genere sia lontana dall’attuale gusto estetico (e non). Non erano strani, al tempo, lunghi piani sequenza in cui non accade granché, e il fatto che alcuni attori forzassero la loro interpretazione era accettato. Parevano poco naturali, insomma. Vedere, per esempio, la madre contrastare qualsiasi cosa non sia di suo gradimento senza battere ciglio la rende poco realistica (e pure antipatica).
Vale lo stesso per molti degli altri interpreti, eccezion fatta per la giovane sposa, abile ad essere dimessa e silenziosa all’inizio e (apparentemente) diabolica alla fine. La somma delle parti rende comunque il tutto armonico e mai banale; se non si analizza allo stremo il film finisce con l’essere persino piacevole e veloce da guardare, cosa inaspettata visto il soggetto trattato. Va citata la parte del processo alla strega e la conseguente condanna a morte: Absalon non mostra clemenza, dopo varie torture e un lungo interrogatorio, nonostante Marte avesse a più riprese professato la propria innocenza. Dreyer qui non lesina in particolari: fino ai tragici momenti dell’esecuzione della condanna ti aspetti che la telecamera s’allontani pietosamente, invece la caduta nel fuoco dell’anziana signora, rea confessa di stregoneria (e l’unico indizio dato allo spettatore e’ una frasetta all’inizio del film) e’ terribile quanto rappresentata senza sconti.Il Cinematografo