I vestiti dell'Imperatore
di Claudio Fabretti
Tastierista-prodigio della Yellow Magic Orchestra, quindi compositore di ambiziose opere multimediali e di colonne sonore da Oscar. Tutto questo (e molto altro ancora) è Ryuichi Sakamoto, pioniere delle contaminazioni tra musica tradizionale d'Oriente e avanguardie elettroniche occidentali
Ryuichi Sakamoto è uno dei grandi pionieri delle contaminazioni tra musica tradizionale d'Oriente e avanguardie elettroniche occidentali. Pochi come lui sono riusciti a spaziare tra generi diversi senza perdere la propria bussola artistica: dal pop alla dance, dall'ambient alla bossa nova, dall'etnica alla classica. "In testa, ho una specie di mappa culturale, che mi permette di trovare analogie tra mondi diversi - racconta - Per me, ad esempio, la musica pop giapponese suona come quella araba. E Bali è vicina a New York".
La sua forza creativa, scevra da compromessi, non ha mai cavalcato altresì le pulsioni intellettuali dei suoi contemporanei, conservando originalità e coerenza senza trasformarsi in cliché.
Tutto ciò è sintetizzato in una lunga serie di rimarchevoli melodie che sono diventate familiari perché appartenevano al nostro immaginario e riposavano nell’attesa che qualcuno le suonasse, la sua musica, a volte, ha lambito anche la superficialità e la inconsistenza ma solo perché questo era parte del progetto stesso.
Il fulcro centrale della sua opera resta il concetto (assimilato da Wayne Shorter) di fare della Duty Free Music, in altre parole una musica libera da doveri.
Ryuichi Sakamoto nasce a Nakano (Tokyo), in un Giappone ancora profondamente legato alle tradizioni e poco disposto ad aprirsi, anche nella musica, alle tendenze occidentali.
A tre anni, impara a suonare il piano e durante il liceo fa parte già di una band. Proprio in questo periodo i suoi principali interessi musicali si orientano verso i Beatles, Beethoven e John Cage, nonché verso l'avanguardia più eterodossa, grazie anche agli studi compiuti presso l'Università d'Arte di Tokio. Dopo la laurea, il musicista di Tokyo fonda la Yellow Magic Orchestra, formazione dedita a sperimentazioni elettro-pop nel solco dell'iconografia futurista dei Kraftwerk. Insieme a Sakamoto (tastiere) la formazione annovera Haruomi Hosono (già bassista degli Happy End), Yukihiro Takahashi (già batterista della Sadistic Mika Band).
Dopo l'omonimo album d'esordio, la band conquista un buon successo anche all'estero con Solid State Survivor, con un sound in bilico tra synth-pop e techno-rock. Ma i dischi successivi non tengono fede alle promesse, virando verso un pop elettronico dai risvolti smaccatamente commerciali.
Nel frattempo il musicista giapponese realizza nel '78 il suo primo album solista, Thousand Knives Of Asia, cui fa seguire due anni dopo B2 Unit (a cui collabora anche Andy Partridge degli XTC), due opere completamente diverse tra loro e che dimostrano subito il grande eclettismo di Sakamoto. Quando nel 1983 gli YMO si sciolgono, per il loro leader prosegue una brillante carriera solista, a partire dalle musiche del film di Nagisa Oshima Merry Christmas Mr. Lawrence, di cui Sakamoto è anche uno dei protagonisti insieme a David Bowie. Una colonna sonora realizzata in collaborazione con David Sylvian dei Japan e impreziosita dallo splendido singolo "Forbidden Colours".
Nel 1984 esce Illustrated Musical Encyclopedia, in cui il compositore di Tokyo fissa con chiarezza l'obiettivo di fondo della sua opera: la fusione fra musica occidentale e sensibilità orientale, realizzata attraverso brani raffinati, come "Etude" e "Tibetan Dance", all'insegna di un jazz orchestrale, o in suite minimaliste, come "Paradise Lost".
Il successivo Neo Geo è uno dei suoi lavori più riusciti, grazie anche al contributo di Bill Laswell e di uno stuolo di collaboratori. Le sue radici etniche si compenetrano alla perfezione con la musica pop occidentale e i ritmi funky, fino ad accarezzare la world-music elettronica di Holger Czukay e Peter Gabriel. La title track mescola battiti funky e laceranti vocalizzi femminili in giapponese, "Shogunade" combina ritmi tribali ed effetti elettronici. Ottimi anche i brani strumentali, da "Before Long" ad "After All", che lambiscono la new age, mentre la struggente melodia di "Free Trading" e la giocosa sinfonia di "Parata" sono ulteriori saggi (d'autore) di come sia possibile coniugare musica etnica d'avanguardia e pop elettronico.
Sakamoto viaggia attraverso i ritmi e le melodie, senza rinunciare al suo pianoforte raffinato e alle sue atmosfere estatiche, profumate d'Oriente. Negli anni, emerge come un compositore moderno, in grado di sfruttare al meglio le apparecchiature dello studio elettronico e di progettare scenari multimediali. La sua sterminata discografia spazia indifferentemente tra tentazioni di raffinato pop elettronico, classicheggianti colonne sonore e dischi di piano solo. I suoi album possono vantare una serie di collaborazioni prestigiose con artisti del valore di David Sylvian, Iggy Pop, David Bowie, Youssou N'Dour, Thomas Dolby, David Byrne, Hector Zazou.
Ma non sempre i risultati sono stati all'altezza delle ambizioni. Beauty (1990), ad esempio, è un disco tanto raffinato quanto velleitario. Heartbeat sembra un goffo tentativo di adeguarsi alla moda house del momento. Più efficace, semmai, l'incursione nell'hip-hop tentata nel 1994 con Sweet Revenge ("dolce vendetta"). Sakamoto spiegava così quel progetto: "Ha un'atmosfera sentimentale e malinconica. Ho voluto riportare nella musica pop la forma canzone, da troppo tempo dimenticata. Questa è la mia dolce vendetta". E aggiungeva: "L'hip-hop usa campionature prese dai pezzi degli anni '60 e '70 che non erano incisi bene rispetto alle registrazioni odierne. E lo stesso timbro hanno le colonne sonore dei vecchi film francesi. Io lo chiamo low-fi, bassa fedeltà. Oggi tutti cercano l'hi-fi. Ma io e i ragazzi dell'hip-hop preferiamo il low-fi ". Anticipava, così, un'attitudine retrò, oggi piuttosto in voga, come riprodurre in cd il fruscio tipico del vecchio vinile.
Negli anni, Sakamoto si specializza in colonne sonore. Quella per L'ultimo Imperatore di Bernardo Bertolucci gli vale l'Oscar, ma sono da ricordare anche Il tè nel deserto (The Sheltering Sky) e Il piccolo Buddha (sempre per Bertolucci), oltre alle musiche per balletto di Esperanto (School). "Scrivere musiche per film, su commissione, è una cosa diversa - spiega - ma in realtà quando sei dentro il lavoro compositivo non sei più in grado di distinguere il motivo che c'è sotto. Devi riuscire, e questo è l'importante. Amo scrivere, e per questo forse scrivo molto. E' una sfida, ma piacevole, perché incorpora al suo interno anche la possibilità di studiare. E poi fortunatamente scrivo musica molto diversa, e questo mi aiuta a progredire". Un lavoro che Sakamoto svolge con certosina meticolosità, ispirandosi ai suoi compositori preferiti di musica per film: Ennio Morricone, Bernard Hammer e Antoine Duhamel, autore di diverse colonne sonore per le opere di Jean-Luc Godard.
Dopo la divagazione più "leggera" di Smoochy, Sakamoto ripropone tutte le sue ambizioni di compositore in bilico tra classica e pop in Discord (1998), un'opera multimediale, che comprende anche un video e una connessione internet. L'ouverture di "Grief" mescola tradizione nipponica e musica sinfonica occidentale, e si snoda in un crescendo drammatico, tra rintocchi di campane, dissonanze e brezze elettroniche. "Prayer" è una soffice melodia per clarinetto, violini e pianoforte. "Salvation" è una suite orchestrale costruita sugli d'archi e su un sottofondo di melodie giapponesi. Ancora una volta Sakamoto riesce a intessere una tela di delicate cartilagini sonore che lega l'antico Giappone alle moderne avanguardie occidentali.
Un discorso proseguito nel 2000 con Intimate. Nello stesso anno escono anche Cinemage (raccolta di temi di colonne sonore) e Back To The Basics, che contiene una serie di composizioni per solo piano. Il singolo "Energy Flow", estratto dall'album, vende oltre un milione e mezzo di copie in patria, rimanendo al numero uno in classifica per diverse settimane e stabilendo un record per un brano di solo pianoforte. In questa fase, il compositore nipponico è affascinato dai suoni acustici, ma le nuove "release" di software musicali lo stanno già tentando verso un ritorno all'elettronica. Il suo "sogno nel cassetto", tuttavia, conduce ancora più lontano: "Farò la mia prima opera lirica - ha annunciato - Sarà molto poco convenzionale, multimediale, con cantanti e ballerini di scuole diverse".
Nel 2002 Sakamoto divorzia dalla moglie Akiko Yano, pianista e cantante giapponese con la quale ha avuto anche un lungo sodalizio artistico.
Sono anni di uscite a getto continuo, prevalentemente antologie, live e colonne sonore per cinema e tv. Degna di nota la raccolta Moto.Tronic (2003), che cerca di riassumere il meglio della sua lunga carriera, così come Piano Pieces (2004) che raccoglie le sue migliori partiture per piano.
La collaborazione con l'elettronica di Alva Noto frutta due buoni dischi, Vrioon (2003) e Insen (2005).
Con il successivo Chasm, Sakamoto si concede la prima uscita solista in chiave pop in sette anni, tornando a composizioni originali dopo i due album-tributo al maestro della bossa nova Antonio Carlos Jobim, pubblicati con Jacque e Paula Morelebaum a nome Morelenbaum2-Sakamoto.
Per l'occasione, attorno all'"Imperatore" di Tokyo si è costituito un cast stellare di ospiti: David Sylvian, MC Sniper, Sketch Show (membro degli YMO), Keigo Oyamada (aka Cornelius), Arto Lindsay, Carsten Nicolai (Noto), Amedeo Pace (Blonde Redhead), solo per citarne alcuni. Manca però un'idea di sintesi capace di armonizzare efficacemente gli innumerevoli spunti musicali abbozzati. Lo spettro musicale, infatti, è vastissimo. E l'annunciata svolta "pop" è in realtà molto virtuale. Se ne possono cogliere i frutti soprattutto nella melodia iniziale di "Undercooled" (che è anche l'unica efficace del disco), un hip-hop impregnato d'essenze orientali affidato al rapper coreano MC. Sniper, e in quella "World Citizen" che rinnova lo storico sodalizio con David Sylvian in una fioca ballata piano/voce manipolata digitalmente (graziosa, ma lontana anni luce dalle vette celestiali di "Forbidden Colours"). La matrice etnica si fa più astratta, quasi stilizzata, affiorando nelle dozzine di voci dai differenti accenti che declamano frasi come "Is war as old as gravity?" in "War & Peace" (con testo di Lindsay) o nella bossa nova sintetica di "Ngo/Bitmix", interpretata in brasiliano da Maucha Adnet.
Il resto è soprattutto un'esplorazione degli avamposti dell'elettronica contemporanea, dal glitch all'ambient-music, filtrata dalla sensibilità "tradizionalista" e quasi mistica del compositore giapponese. Sakamoto sfida gli Autechre più rumorosi nei quattro minuti di distorsioni elettriche al calor bianco di "Coro", gioca con loop e glitcherie in "20 msec", campiona versi degli uccelli catturati dal vivo al lago Trukana in "Only Love Can Conquer Hate". Saggi di sperimentalismo minimalista che però sconfinano nell'autoindulgenza. Suonano perciò liberatori quegli strumentali "classici" che riportano per un attimo al cuore più puro della Sakamoto-music, che siano la sonata per piano della title track o lo struggente tema per il videogame dei "Sette Samurai", quasi una piece di Satie trasfigurata in un gagaku.
I nuovi vestiti dell'Imperatore sono - al solito - scintillanti, ma stavolta non si abbinano al meglio. Inseguendo schizofrenicamente suoni e timbri, Sakamoto rischia di smarrire la chiave di quel sincretismo musicale che aveva sempre reso speciali le sue opere.
Dal sodalizio con l'altro guru dell'elettronica internazionale, Christian Fennesz, nata dopo un'esibizione insieme a Roma, presso la Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica, scaturisce un disco interessante come Cendre (2007). La musica del compositore viennese, sì emozionale, ma nascosta, fornisce una scenografia sullo sfondo per l’intera durata, senza mai cedere a tentazioni di protagonismo. E allora salta all’orecchio il fare quasi invasivo di Sakamoto, abile ad inserirsi nel paesaggio con linee melodiche algide, o con brevi ma reiterati haiku dall’intensa visionarietà Satie-ana.
Un contrasto che arriva a mediazione naturalmente, nonostante il processo di composizione abbia preso forma a distanza. Pare, infatti, fosse basato sullo scambio vicendevole di idee, bozze, spunti, poi sviluppati e rifiniti dall’uno o dall’altro, a seconda dei casi.
L'album sconta una certa monotematicità di fondo, resta però da apprezzare il sincretismo spinto dell’operazione, che trova proprio nel dettaglio la sua manifestazione più compiuta, in attimi fissati in fermo immagine, rubati allo scorrere dello spazio tempo. E’ l’estetica del digitale che trionfa nel blue neon urbano, nella solitudine dell’animo, nell’essere alla ricerca di un qualcosa-indefinito. Un disco per sognare ad occhi aperti, ancora una volta.
Progettato, per esser poi soggetto di una serie di esibizioni live acquistabili solo attraverso I-Tunes, Out Of Noise (2009) propone dodici pezzi strumentali che alternano minimalismo (“Hibari”), frammenti sperimentali (“Tama”), musica cinematica (“Disko”), realizzando un insieme sonoro di spettrale avvenenza. Il concetto di bellezza permea da sempre la musica di Sakamoto, che dopo averne decantato il lato più vigoroso in Beauty, ora sembra celebrarne il volto più scarno e poetico.
“Hibari” apre la sequenza con una struttura minimale non lascia tregua, la stessa rigidità sopraggiungerà solo nel finale “Composition 0919”, che ripresenta l’atonalità pianistica che caratterizzava le pagine più ostiche di Dischord.
Incantevole “In The Red”, una sognante e fluida edificazione di atmosfere elettroniche, tra voci e suoni ripetitivi che avvolgono la minimale struttura pianistica. Sakamoto realizza una serie di fantasiosi landscape sonori tra Budd e Bryars, con notevoli risultati in “Disko” e “Ice”, ma è “Firewater” la vera perla dell'album: suoni elettronici che si dileguano nell’angoscia dell’infinito.
“Hwit” e “Still Life” suggeriscono la malinconica scrittura delle sue migliori colonne sonore, ma lo fanno con suoni elettronici acri che regalano contorni inediti, “Tama” incrocia con gusto sonorità più sperimentali e “Nostalgia” accenna frammenti romantici che sono sublimati nella deliziosa “To Stanford”, dove il piano trascina la composizione verso un classicismo mai stucchevole.
Playing The Piano (2009) riconcilia il pubblico con l’immagine del Sakamoto più classico, ovvero l’abile e intenso pianista innamorato di Debussy, nonché il creatore di alcuni dei temi più suggestivi ed evocativi di musica per il cinema. Il compositore nipponico rilegge alcune delle pagine più note del suo repertorio senza fare un’operazione calligrafica, le note sono prosciugate dagli eccessi di lirismo per mostrare un’energia strutturale che resiste alla rilettura.
”Merry Christmas Mr Lawrence”, “The Last Emperor” e “The Sheltering Sky” amoreggiano con gli spazi della memoria dell’ascoltatore, ma senza esasperare il tono emotivo, il romanticismo si tramuta in carnalità e contemplazione, ogni piccola nota sembra sottolineare un tormento che non era percepibile nelle versioni originali. Sakamoto strappa le armonie per poi ricucirle, ridando luce a vecchie pagine ingiallite come “Tibetan Dance” e "Thousand Knives". Altrove il colore lascio spazio al bianco e nero ricco di sfumature, con risultati deliziosi in “Amore” e “Riot In Lagos”.
Non c’è incertezza tra le trame sonore di Playing The Piano, ma è una perfezione ricca di estro e imprevisti.
Dall'alto della sua incredibile carriera, Ryuichi Sakamoto ha ancora il gusto e la curiosità di continuare a cercare nuovi collaboratori, soprattutto tra i musicisti di una o due generazioni più giovani di lui. Dopo i successi con Alva Noto e i meno esaltanti lavori con Christopher Willits, il musicista giapponese ha intrapreso una nuova collaborazione con il proprietario della 12k, Taylor Deupree.
I primi contatti tra i due musicisti risalgono a qualche anno fa ma è stato un concerto organizzato da John Zorn nel suo club newyorkese The Stone a farli incontrare fisicamente. Durante la sera del 27 aprile del 2012 sono stati gettati i semi della futura collaborazione. Una delle cinque tracce in scaletta di Disappearance (2013), “This Window”, proviene proprio da quel concerto. Le altre quattro tracce sono state registrate nello studio di Sakamoto a New York, città dove entrambi i musicisti vivono. Il padrone di casa ha suonato il pianoforte e si è occupato anche di alcuni strumenti elettronici. Deupree, invece, ha portato alcuni sintetizzatori, una chitarra acustica, e qualche vecchio nastro magnetico.
“Jyaku”, la prima traccia in scaletta, mostra subito pregi e difetti del progetto: Deupree organizza la sua caratteristica piccola orchestra acustica, sfregando percussioni e le corde di una chitarra, cercando di creare le basi per una storia da raccontare; Sakamoto all'inizio si limita a stendere un cupo drone, poi comincia a distillare grappoli di note come fossero gocce di rugiada al mattino. Un'atmosfera melanconica e intima prende subito il sopravvento, creando una sorta di filo conduttore per l'intero album. Tant'è che ci si ritrova con minime variazioni sulla seconda traccia, “Frozen Fountain”, dove l'atmosfera diventa ancora più rarefatta.
La registrazione allo Stone è emblematica: Sakamoto improvvisa suonando poche note che sembrano provenire da una delle sue colonne sonore; Deupree cerca di costruire con rumori e scampoli di drone un viale lastricato per l'improvvisazione del giapponese. Ma i due sembrano incontrarsi ben oltre la boa di metà brano, dopo aver suonato in punta di piedi, ognuno nel proprio mondo, mostrando un gran rispetto l'uno verso l'altro, ma anche un'incapacità a trovare un linguaggio in comune. La suggestiva ultima traccia in scaletta, “Curl To Me”, è arricchita dai suoi ultra-vividi di Ichiko Aoba, già collaboratrice sia di Sakamoto che di Deupree.
Due anni dopo è la volta di Perpetual, un magistrale saggio di sound art ambientale co-firmato nuovamente con Deupree e con i talentuosi "allievi" Illuha. Tre suite da venti minuti scarsi ciascuno compongono un lavoro dedito all'autocontemplazione per scelta autentica. Perso di vista ogni soggetto già a partire dal titolo, i quattro ricamano astraendo sensazioni e percezioni personali e traducendo la process-generation in un fenomeno squisitamente umano. Il passaggio diviene palese nel terzo movimento, dove il pianoforte di Sakamoto, delicato e limpido, fa da pennello sul fondale screziato costruito dagli Illuha e sui flussi aurei firmati dal Deupree versione “Faint”, mantenendo l'acquarello ma andando a caccia dell'impressione. Il tutto senza rinunciare ad una componente terrena, in forma di field recordings naturali, che abbandona lo scopo paesaggista per divenire mero elemento sonoro. Ad accogliere in questo universo parallelo, dove la forma tende a contare forse più della sostanza (e per una volta questo non è un male), è un drone solitario e senza tempo, un soffio vitale che lentamente genera una gamma di colori primari in forma di singole armonie. Queste ultime si mischiano poi fino a confondersi in una miriade di sfumature, cui gli arpeggi della chitarra di Corey Fuller forniscono ciclicamente un accento ulteriore. Il primo movimento si lega in circolo al secondo, nel complesso il meno riuscito dei tre, dove protagonista è la rarefazione dei microsound di Deupree, in quello che risulta comunque un affascinante ritorno al passato.
Nulla di rivoluzionario, di scioccante, di storico. “Solo” due maestri che dialogano con i loro allievi più talentuosi, tracciando una linea che abbraccia la sound art ambientale in tutte le sue sfumature perpetue.
Contributi di Antonio Ciarletta ("Cendre") e Gianfranco Marmoro ("Out Of Noise", "Playing The Piano"), Roberto Mandolini ("Disappearence") e Matteo Meda ("Perpetual").ONDA ROCK