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annika
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Arte del Rinascimento
annika- C'è un pò di Divino in te!
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Re: Arte del Rinascimento
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Re: Arte del Rinascimento
PIETER BRUEGEL
Bruegel Pieter il Vecchio (Brabante 1525-30 - Bruxelles 1569)
Pittore, disegnatore e incisore, il più grande artista della prima metà del Cinquecento nel nord Europa.
La documentazione circa la sua carriera è piuttosto scarsa, ciò che si sa è soprattutto grazie alla biografia estremamente elogiativa di Karel Van Mander, pubblicata nel 1604.
Nel 1551 fu iscritto nella gilda dei pittori di Anversa e cominciò a lavorare per il mercante di stampe Pieter Coecke van Aelst, anch’egli pittore, architetto, disegnatore di arazzi, e sopratutto persona molto colta, che si cimentò anche in traduzioni di testi di Vitruvio e di Sebastiano Serlio
Nel 1552 intraprese un viaggio in Francia e in Italia, soggiornò a Roma e si spinse fino in Sicilia.
La critica sottolinea la provenienza di Bruegel il Vecchio dallo studio di di Hieronymus Bosch e dalla sua fedeltà all'antica Scuola Fiamminga.
In effetti Bruegel attraversa varie fasi artistiche nel corso della sua vita, la prima si fonda sulla realizzazione di opere stilisticamente molto vicine a quelle del pittore fiammingo Hieronymus Bosh, per passare poi dalla realizzazione di paesaggi fantastici a quelli reali, e ciò in occasione del suo viaggio in Italia.
Dipinto di Pieter Bruegel
L'esperienza dell'attraversamento delle Alpi colpisce Bruegel molto più di qualsiasi opera artistica, "inghiottì tutte le montagne e le rocce e al suo ritorno le risputò fuori sulle tele e sulle tavole".
Il risultato è la serie di stampe oggi note come i Grandi paesaggi (1555-58), dodici spettacolari vedute di montagna.
Questa particolare fascinazione toccò anche l’animo di un’altro grande artista Albrecht Dürer quando vide le alpi.
Dopo aver sposato Mayeken Coecke, la figlia del suo maestro d’arte Coecke, Bruegel si stabilisce a Bruxelles, dove, dopo alcuni viaggi,riprende a dipingere, focalizzando la sua attenzione pittorica sul uomo ed sulla natura, nella nuova contrapposizione al manierismo dei maestri italiani, che predominava allora nei Paesi Bassi.
Proprio in quegli anni, ossia nel 1563, il pittore, ormai molto conosciuto, realizza una delle sue opere più splendide e famose: La Torre di Babele.
Nel 1564 nasce Pietre, il suo primogenito, anche lui destinato a diventare artista.
Il periodo compreso tra il 1565 ed il 1568 fu abbastanza prolifico per la produzione pittorica dell’artista, con la realizzazione di grandissime opere quali: la serie dedicata ai Mesi, Il paese della cuccagna ed il Banchetto nuziale.
Disegno di Pieter Bruegel
Nel 1568 nasce il secondogenito Jan, che sarà noto come "Jan Velvet", Jan dei velluti per la sua abilità a dipingere i tessuti.
Bruegel ci ha lasciato circa una settantina di opere pittoriche, malgrado la sua attività si sia svolta nel corso di una vita relativamente breve.
Sul ricordo di Bosch, Bruegel illustrò soggetti fantastici e personaggi tratti dalla Bibbia e dal Vangelo visti da un'ottica laica e talvolta mostrati con impietosa crudezza, utilizzando con forza i colori, le luci e le ombre e si segnalò per la capacità di disegnare rendendo con essenzialità ed efficacia le pose, i movimenti e le fisionomie.
Da ricordare la Tempesta raffigurante una mostruosa balena, simbolo della forza distruttiva della natura, i Cacciatori nella neve e la Mietitura, soggetti situati in immensi paesaggi dall'atmosfera vibrante.
I posteri hanno chiamato il pittore Pieter Bruegel il Vecchio per distinguerlo da Pieter Bruegel il Giovane, suo figlio primogenito, mentre invece il suo secondo figlio fu Jan Bruegel il Vecchio o "Jan Velvet", anch’egli pittore ed entrambi i figli scrivevano il loro cognome come 'Brueghel', reinserendo la lettera 'h' che il padre aveva eliminato (per ragioni sconosciute) nel 1559.
Il maestro morì nel 1569; la salma fu inumata nella chiesa di Notre-Dame de la Chapelle, a Bruxelles, città dove visse per quasi tutta la sua vita, ma i due figli erano ancora bambini alla sua morte e quindi non poterono esserne allievi7MUSE
Bruegel Pieter il Vecchio (Brabante 1525-30 - Bruxelles 1569)
Pittore, disegnatore e incisore, il più grande artista della prima metà del Cinquecento nel nord Europa.
La documentazione circa la sua carriera è piuttosto scarsa, ciò che si sa è soprattutto grazie alla biografia estremamente elogiativa di Karel Van Mander, pubblicata nel 1604.
Nel 1551 fu iscritto nella gilda dei pittori di Anversa e cominciò a lavorare per il mercante di stampe Pieter Coecke van Aelst, anch’egli pittore, architetto, disegnatore di arazzi, e sopratutto persona molto colta, che si cimentò anche in traduzioni di testi di Vitruvio e di Sebastiano Serlio
Nel 1552 intraprese un viaggio in Francia e in Italia, soggiornò a Roma e si spinse fino in Sicilia.
La critica sottolinea la provenienza di Bruegel il Vecchio dallo studio di di Hieronymus Bosch e dalla sua fedeltà all'antica Scuola Fiamminga.
In effetti Bruegel attraversa varie fasi artistiche nel corso della sua vita, la prima si fonda sulla realizzazione di opere stilisticamente molto vicine a quelle del pittore fiammingo Hieronymus Bosh, per passare poi dalla realizzazione di paesaggi fantastici a quelli reali, e ciò in occasione del suo viaggio in Italia.
Dipinto di Pieter Bruegel
L'esperienza dell'attraversamento delle Alpi colpisce Bruegel molto più di qualsiasi opera artistica, "inghiottì tutte le montagne e le rocce e al suo ritorno le risputò fuori sulle tele e sulle tavole".
Il risultato è la serie di stampe oggi note come i Grandi paesaggi (1555-58), dodici spettacolari vedute di montagna.
Questa particolare fascinazione toccò anche l’animo di un’altro grande artista Albrecht Dürer quando vide le alpi.
Dopo aver sposato Mayeken Coecke, la figlia del suo maestro d’arte Coecke, Bruegel si stabilisce a Bruxelles, dove, dopo alcuni viaggi,riprende a dipingere, focalizzando la sua attenzione pittorica sul uomo ed sulla natura, nella nuova contrapposizione al manierismo dei maestri italiani, che predominava allora nei Paesi Bassi.
Proprio in quegli anni, ossia nel 1563, il pittore, ormai molto conosciuto, realizza una delle sue opere più splendide e famose: La Torre di Babele.
Nel 1564 nasce Pietre, il suo primogenito, anche lui destinato a diventare artista.
Il periodo compreso tra il 1565 ed il 1568 fu abbastanza prolifico per la produzione pittorica dell’artista, con la realizzazione di grandissime opere quali: la serie dedicata ai Mesi, Il paese della cuccagna ed il Banchetto nuziale.
Disegno di Pieter Bruegel
Nel 1568 nasce il secondogenito Jan, che sarà noto come "Jan Velvet", Jan dei velluti per la sua abilità a dipingere i tessuti.
Bruegel ci ha lasciato circa una settantina di opere pittoriche, malgrado la sua attività si sia svolta nel corso di una vita relativamente breve.
Sul ricordo di Bosch, Bruegel illustrò soggetti fantastici e personaggi tratti dalla Bibbia e dal Vangelo visti da un'ottica laica e talvolta mostrati con impietosa crudezza, utilizzando con forza i colori, le luci e le ombre e si segnalò per la capacità di disegnare rendendo con essenzialità ed efficacia le pose, i movimenti e le fisionomie.
Da ricordare la Tempesta raffigurante una mostruosa balena, simbolo della forza distruttiva della natura, i Cacciatori nella neve e la Mietitura, soggetti situati in immensi paesaggi dall'atmosfera vibrante.
I posteri hanno chiamato il pittore Pieter Bruegel il Vecchio per distinguerlo da Pieter Bruegel il Giovane, suo figlio primogenito, mentre invece il suo secondo figlio fu Jan Bruegel il Vecchio o "Jan Velvet", anch’egli pittore ed entrambi i figli scrivevano il loro cognome come 'Brueghel', reinserendo la lettera 'h' che il padre aveva eliminato (per ragioni sconosciute) nel 1559.
Il maestro morì nel 1569; la salma fu inumata nella chiesa di Notre-Dame de la Chapelle, a Bruxelles, città dove visse per quasi tutta la sua vita, ma i due figli erano ancora bambini alla sua morte e quindi non poterono esserne allievi7MUSE
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Re: Arte del Rinascimento
François Clouet
Francois Clouet, pittore ritrattista e miniaturista francese, nasce (probabilmente) a Tours, un comune della Francia centro-occidentale, fra il 1510 ed il 1515.
Seguendo le orme di suo padre Jean Clouet (1480-1541) e dello zio Clouet de Navarra, imparò l'arte del ritratto, anche se solo uno di questi è stato da lui firmato, sembra che altri 50 siano di sua mano.
Come suo padre lavorò per la monarchia francese, con la carica di Palafreniere della Camera, che gli ha garantito uno stipendio.
Clouet dipinse diversi ritratti dei personaggi importanti del regno, compreso un bel ritratto del re Francesco I, ora alla Galleria degli Uffizi di Firenze, una miniatura del suo successore, il re Enrico II, quello di sua moglie, Catherine de 'Medici, dei loro figli François, duca d'Angiò e Carlo IX e della moglie, Elisabetta d'Austria; Dipinse anche Maria, Regina di Scozia e Margherita di Valois, e molti personaggi della corte e della famiglia reale.
E' considerato il capolavoro di Francois Clouet il ritratto di Elisabetta d'Austria, ma per la famiglia reale ha realizzato pezzi decorativi per le cerimonie di sepoltura, come le maschere mortuarie di Francesco I e per il figlio Enrico II.
I lavori del pittore sono eccezionali nella loro esattezza e precisione, utilizzando un equilibrio perfetto fra colori tenui e uno stile rigoroso nella forma.
La firma sul ritratto di Diane de Poitiers, costituisce una stranezza, come i colori vivaci utilizzati da Francois Clouet che muore a Parigi il 22 Dicembre, 1572.
7museFrancois Clouet, pittore ritrattista e miniaturista francese, nasce (probabilmente) a Tours, un comune della Francia centro-occidentale, fra il 1510 ed il 1515.
Seguendo le orme di suo padre Jean Clouet (1480-1541) e dello zio Clouet de Navarra, imparò l'arte del ritratto, anche se solo uno di questi è stato da lui firmato, sembra che altri 50 siano di sua mano.
Come suo padre lavorò per la monarchia francese, con la carica di Palafreniere della Camera, che gli ha garantito uno stipendio.
Clouet dipinse diversi ritratti dei personaggi importanti del regno, compreso un bel ritratto del re Francesco I, ora alla Galleria degli Uffizi di Firenze, una miniatura del suo successore, il re Enrico II, quello di sua moglie, Catherine de 'Medici, dei loro figli François, duca d'Angiò e Carlo IX e della moglie, Elisabetta d'Austria; Dipinse anche Maria, Regina di Scozia e Margherita di Valois, e molti personaggi della corte e della famiglia reale.
E' considerato il capolavoro di Francois Clouet il ritratto di Elisabetta d'Austria, ma per la famiglia reale ha realizzato pezzi decorativi per le cerimonie di sepoltura, come le maschere mortuarie di Francesco I e per il figlio Enrico II.
I lavori del pittore sono eccezionali nella loro esattezza e precisione, utilizzando un equilibrio perfetto fra colori tenui e uno stile rigoroso nella forma.
La firma sul ritratto di Diane de Poitiers, costituisce una stranezza, come i colori vivaci utilizzati da Francois Clouet che muore a Parigi il 22 Dicembre, 1572.
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Re: Arte del Rinascimento
Lorenzo Monaco
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Il pittore gotico Lorenzo Monaco, nome originale Piero Di Giovanni, nasce a Siena intorno al 1370.
Oltre che a dedicarsi alla pittura, Lorenzo Monaco è anche un abile miniaturista.
Si forma a Siena sulle opere di Simone Martini e dei Lorenzetti; a Firenze risente invece l'arte di A. Gaddi e Spinello Aretino.
Protagonista del passaggio dalla tradizione giottesca al Rinascimento, la sua arte è un esempio classico dello stile gotico internazionale unito al flusso aggraziato della linea e al sentimento decorativo tipico della scuola senese di tradizione fiorentina che ha subito gli influssi di Giotto.
Nel 1391 Lorenzo Monaco prende i voti dell' ordine camaldolese e si trasferisce presso il Monastero di Santa Maria degli Angeli, a Firenze. A questo periodo risalgono alcune miniature, gli affreschi, purtroppo danneggiati, nel convento delle oblate e nell'ospedale di S. Maria Nuova, la Pietà all'Accademia di Firenze.
Raggiunge il grado di diacono, ma nel 1402 è iscritto nella corporazione dei pittori sotto il suo nome laico, Piero di Giovanni (Lorenzo Monaco significa appunto: il Monaco Lorenzo) e vive al di fuori del monastero.
Il suo grande polittico "Madonna con Bambino" (1406-1410, Uffizi, Firenze) e la "Incoronazione della Vergine" (1413, Uffizi, Firenze) riflettono in pieno il suo stile, colori chiari, uso di toni biondi, utlizzo sapiente della luce e la sua predilezione per tendaggi che danno ritmo alla scena con forme curvilinee e vorticose.
L'amore per la composizione decorativa e l'uso espressivo della linea sono evidenti soprattutto nei piccoli frammenti della sua predella presso l'Accademia di Firenze, che raffigurano la "Natività", la "Vita di un eremita" e un "Paesaggio marino in tempesta".
Durante gli ultimi anni della sua vita, Lorenzo Monaco è influenzato dal naturalismo di Lorenzo Ghiberti, come si può vedere nei suoi affreschi della "Vita della Vergine" e nella "Pala dell' Annunciazione" (1420-1424, entrambi nella Cappella Bartolini, Santa Trinità, Firenze).
Le opere di Lorenzo Monaco sono in completo contrasto con il suo grande rivale contemporaneo Masaccio e rappresentano la più alta realizzazione dello splendore dell' ultima arte gotica a Firenze.
Lorenzo Monaco muore a Firenze nel 1425.
Secondo quanto riportato dal Vasari, all' età di cinquantacinque anni, "infermatosi d'una postema crudele che lo tenne oppresso molti mesi" e fu sepolto nella sala capitolare del Convento di Santa Maria degli Angeli: un privilegio riservato allora ad alti personaggi del clero, oppure a monaci facoltosi.7muse
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Il pittore gotico Lorenzo Monaco, nome originale Piero Di Giovanni, nasce a Siena intorno al 1370.
Oltre che a dedicarsi alla pittura, Lorenzo Monaco è anche un abile miniaturista.
Si forma a Siena sulle opere di Simone Martini e dei Lorenzetti; a Firenze risente invece l'arte di A. Gaddi e Spinello Aretino.
Protagonista del passaggio dalla tradizione giottesca al Rinascimento, la sua arte è un esempio classico dello stile gotico internazionale unito al flusso aggraziato della linea e al sentimento decorativo tipico della scuola senese di tradizione fiorentina che ha subito gli influssi di Giotto.
Nel 1391 Lorenzo Monaco prende i voti dell' ordine camaldolese e si trasferisce presso il Monastero di Santa Maria degli Angeli, a Firenze. A questo periodo risalgono alcune miniature, gli affreschi, purtroppo danneggiati, nel convento delle oblate e nell'ospedale di S. Maria Nuova, la Pietà all'Accademia di Firenze.
Raggiunge il grado di diacono, ma nel 1402 è iscritto nella corporazione dei pittori sotto il suo nome laico, Piero di Giovanni (Lorenzo Monaco significa appunto: il Monaco Lorenzo) e vive al di fuori del monastero.
Il suo grande polittico "Madonna con Bambino" (1406-1410, Uffizi, Firenze) e la "Incoronazione della Vergine" (1413, Uffizi, Firenze) riflettono in pieno il suo stile, colori chiari, uso di toni biondi, utlizzo sapiente della luce e la sua predilezione per tendaggi che danno ritmo alla scena con forme curvilinee e vorticose.
L'amore per la composizione decorativa e l'uso espressivo della linea sono evidenti soprattutto nei piccoli frammenti della sua predella presso l'Accademia di Firenze, che raffigurano la "Natività", la "Vita di un eremita" e un "Paesaggio marino in tempesta".
Durante gli ultimi anni della sua vita, Lorenzo Monaco è influenzato dal naturalismo di Lorenzo Ghiberti, come si può vedere nei suoi affreschi della "Vita della Vergine" e nella "Pala dell' Annunciazione" (1420-1424, entrambi nella Cappella Bartolini, Santa Trinità, Firenze).
Le opere di Lorenzo Monaco sono in completo contrasto con il suo grande rivale contemporaneo Masaccio e rappresentano la più alta realizzazione dello splendore dell' ultima arte gotica a Firenze.
Lorenzo Monaco muore a Firenze nel 1425.
Secondo quanto riportato dal Vasari, all' età di cinquantacinque anni, "infermatosi d'una postema crudele che lo tenne oppresso molti mesi" e fu sepolto nella sala capitolare del Convento di Santa Maria degli Angeli: un privilegio riservato allora ad alti personaggi del clero, oppure a monaci facoltosi.7muse
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Sebastiano del Piombo
Sebastiano del Piombo. - Nome con cui è noto il pittore Sebastiano Luciani (Venezia 1485 circa - Roma 1547). Sussiste qualche incertezza, nella storia critica, sulla prima attività di S., coinvolta nella complessa questione dell'attività e dell'influenza di Giorgione a Venezia nel primo decennio del Cinquecento. A parte alcune opere giovanili attribuite in modo non sempre concorde (Sacra famiglia con santi e donatore, Louvre) e un suo probabile intervento, affermato da M. A. Michiel, nei Tre filosofi di Giorgione (Vienna, Kunsthistorisches Museum), le opere dipinte da S. a Venezia tra il 1506 e il 1511, di pubblica destinazione (Giudizio di Salomone, Kingston Lacy, National Trust; pala di S. Giovanni Crisostomo, Venezia; portelle d'organo con quattro Santi, Venezia, S. Bartolomeo a Rialto), fanno supporre tuttavia un suo ruolo di importanza maggiore di quanto non gli sia stato riconosciuto in passato. Tali opere mostrano, oltre a un influsso di Giorgione nei tipi fisici e nella morbidezza dei contorni, l'influenza dell'opera tarda di G. Bellini e un'impostazione monumentale, sottolineata anche dall'ambientazione architettonica, che sarà sempre più sviluppata dall'artista a contatto con l'ambiente romano. Agli ultimi anni veneziani appartengono inoltre la Morte di Adone (Uffizi) e Salomè (Londra, National Gallery). Nel 1511 S. andò a Roma, su invito di Agostino Chigi, per decorare una sala della sua villa suburbana sul Tevere, poi chiamata Farnesina. Qui eseguì il Polifemo e lunette con soggetti mitologici; gli affreschi, eseguiti con qualche incertezza tecnica, sono caratterizzati da un colore brillante e da un dinamismo compositivo che si pone in contrasto con la scansione architettonica della parete. L'incontro con l'opera di Raffaello, attivo nella stessa sala, che si evidenzia soprattutto in alcuni ritratti (La fornarina, Uffizi; Dorotea, Berlino, Gemäldegalerie; Cardinal Ciocchi del Monte, Dublino, National Gallery of Ireland) doveva presto cedere a un netto accostamento all'arte di Michelangelo. La protezione e l'amicizia del maestro procurò a S. importanti committenze, oltre a onori e cariche presso la corte pontificia. Già nella Deposizione (1516, San Pietroburgo, Ermitage) è evidente l'influsso di Michelangelo, che giunse a fornire all'amico disegni preparatorî per varie opere come la Pietà (1516, Viterbo, Museo Civico), la decorazione della cappella Borgherini in S. Pietro in Montorio (1516-24), la Resurrezione di Lazzaro (1517-19, Londra, National Gallery), dipinto su commissione del cardinal Giulio de' Medici in competizione con la Trasfigurazione di Raffaello. La collaborazione con Michelangelo accentuò la tendenza di S. verso la monumentalità compositiva e il plasticismo delle figure, che si unisce al caldo colore veneto. Tali caratteri informano anche gli straordinarî ritratti di eminenti personaggi, settore importante della sua attività (Clemente VII, Napoli, Museo nazionale di Capodimonte; Andrea Doria, Roma, galleria Doria Pamphili) o le varie immagini di Cristo portacroce (Prado, Ermitage, ecc.). Tra i dipinti religiosi, la Flagellazione (1525, Viterbo, Museo Civico), o la pala della cappella Chigi in S. Maria del Popolo (1532). Dopo la morte di Raffaello, S. fu una delle personalità di maggior rilievo a Roma; dopo il sacco del 1527, e dopo aver assunto la prestigiosa carica di piombatore pontificio (1531), dalla quale derivò il soprannome, rallentò sensibilmente, pur senza interromperla, la propria attività artistica. Treccani on line
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Sebastiano del Piombo. - Nome con cui è noto il pittore Sebastiano Luciani (Venezia 1485 circa - Roma 1547). Sussiste qualche incertezza, nella storia critica, sulla prima attività di S., coinvolta nella complessa questione dell'attività e dell'influenza di Giorgione a Venezia nel primo decennio del Cinquecento. A parte alcune opere giovanili attribuite in modo non sempre concorde (Sacra famiglia con santi e donatore, Louvre) e un suo probabile intervento, affermato da M. A. Michiel, nei Tre filosofi di Giorgione (Vienna, Kunsthistorisches Museum), le opere dipinte da S. a Venezia tra il 1506 e il 1511, di pubblica destinazione (Giudizio di Salomone, Kingston Lacy, National Trust; pala di S. Giovanni Crisostomo, Venezia; portelle d'organo con quattro Santi, Venezia, S. Bartolomeo a Rialto), fanno supporre tuttavia un suo ruolo di importanza maggiore di quanto non gli sia stato riconosciuto in passato. Tali opere mostrano, oltre a un influsso di Giorgione nei tipi fisici e nella morbidezza dei contorni, l'influenza dell'opera tarda di G. Bellini e un'impostazione monumentale, sottolineata anche dall'ambientazione architettonica, che sarà sempre più sviluppata dall'artista a contatto con l'ambiente romano. Agli ultimi anni veneziani appartengono inoltre la Morte di Adone (Uffizi) e Salomè (Londra, National Gallery). Nel 1511 S. andò a Roma, su invito di Agostino Chigi, per decorare una sala della sua villa suburbana sul Tevere, poi chiamata Farnesina. Qui eseguì il Polifemo e lunette con soggetti mitologici; gli affreschi, eseguiti con qualche incertezza tecnica, sono caratterizzati da un colore brillante e da un dinamismo compositivo che si pone in contrasto con la scansione architettonica della parete. L'incontro con l'opera di Raffaello, attivo nella stessa sala, che si evidenzia soprattutto in alcuni ritratti (La fornarina, Uffizi; Dorotea, Berlino, Gemäldegalerie; Cardinal Ciocchi del Monte, Dublino, National Gallery of Ireland) doveva presto cedere a un netto accostamento all'arte di Michelangelo. La protezione e l'amicizia del maestro procurò a S. importanti committenze, oltre a onori e cariche presso la corte pontificia. Già nella Deposizione (1516, San Pietroburgo, Ermitage) è evidente l'influsso di Michelangelo, che giunse a fornire all'amico disegni preparatorî per varie opere come la Pietà (1516, Viterbo, Museo Civico), la decorazione della cappella Borgherini in S. Pietro in Montorio (1516-24), la Resurrezione di Lazzaro (1517-19, Londra, National Gallery), dipinto su commissione del cardinal Giulio de' Medici in competizione con la Trasfigurazione di Raffaello. La collaborazione con Michelangelo accentuò la tendenza di S. verso la monumentalità compositiva e il plasticismo delle figure, che si unisce al caldo colore veneto. Tali caratteri informano anche gli straordinarî ritratti di eminenti personaggi, settore importante della sua attività (Clemente VII, Napoli, Museo nazionale di Capodimonte; Andrea Doria, Roma, galleria Doria Pamphili) o le varie immagini di Cristo portacroce (Prado, Ermitage, ecc.). Tra i dipinti religiosi, la Flagellazione (1525, Viterbo, Museo Civico), o la pala della cappella Chigi in S. Maria del Popolo (1532). Dopo la morte di Raffaello, S. fu una delle personalità di maggior rilievo a Roma; dopo il sacco del 1527, e dopo aver assunto la prestigiosa carica di piombatore pontificio (1531), dalla quale derivò il soprannome, rallentò sensibilmente, pur senza interromperla, la propria attività artistica. Treccani on line
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Re: Arte del Rinascimento
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Ritratto di un Umanista- Sebastiano del Piombo
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Re: Arte del Rinascimento
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Re: Arte del Rinascimento
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Re: Arte del Rinascimento
“I BARI” DI CARAVAGGIO COLPISCONO ANCORA: NESSUN RISARCIMENTO ALL’EREDE DELLA TELA CHE AVEVA SCAMBIATO IL CAPOLAVORO DEL PITTORE LOMBARDO PER UNA CROSTA - BATTUTO ALL’ASTA PER 42MILA STERLINE, IL QUADRO VALE 13MILIONI DI EURO
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Dopo la vendita all’incanto il povero e sprovveduto erede ha fatto causa a Sotheby’s per «negligenza» nella valutazione dell’opera - L’Alta corte di Londra ha dato ragione alla casa d’aste: era pressoché impossibile identificare l’autore - All’erede non resta che proporre appello o andare ad ammirare l’opera al Museo dell’Ordine di San Giovanni...
Vedersi sfilare dieci milioni di sterline, vale a dire quei 13 milioni di euro che vale l’olio su tela del Caravaggio dal titolo «I bari», è un brutto colpo. Ma il discendente di uno stimato chirurgo della Royal Navy, Lancelot William Thwaytes, un po’ se l’è andata a cercare. Quando hai in mano qualcosa che sospetti possa essere un tesoro sarebbe meglio ascoltare non dieci ma cento, e forse più, esperti prima di metterlo all’asta.
Rientrarne poi in possesso è impossibile. Ed è pure impossibile, ciò hanno stabilito i giudici dell’Alta corte londinese, chiedere i danni a chi non è stato in grado di attribuire il capolavoro al suo grande, unico e vero maestro, Michelangelo Merisi.
È un mezzo giallo. O una beffa catastrofica (per chi esce a pezzi dalla causa), con tanti protagonisti e con tanti critici ed esperti d’arte messi di mezzo. E ruota attorno al quadro di 94 centimetri per 131 che il Caravaggio dipinse nel 1594. Si pensava, fino a qualche tempo fa, che l’originale fosse in Texas al Kimbell Art Museum. Invece in Inghilterra al Museo dell’Ordine di San Giovanni, nella zona di Clerkenwell (gioiellino fuori dai circuiti turistici) ecco che compare, lasciatovi dal collezionista e storico Denis Mahon, lo splendido dipinto.
E pensare che oltre mezzo secolo fa, nel 1962, la famiglia di Lancelot William Thwaytes l’aveva acquistato per 140 sterline: solo una crosta, bella ma uno scarto di magazzino. Come tale trattato fino al 2006 quando il suo legittimo proprietario, per l’appunto Mr. Lancelot, lo porta alla casa d’aste Sotheby’s. Che non sia proprio un’opera da buttare via è chiaro da subito. Sotheby’s chiede il conforto di stimati professori.
S’interpellano la biografa del Caravaggio, Helen Langdon, poi lo storico dell’arte americano Richard Spear. E il verdetto è che si tratta di una copia attribuibile alla scuola del Caravaggio ma non al Caravaggio stesso. Così la tela va all’asta. E con un risultato da non disprezzare visto che la si batte per 42 mila sterline (oggi 55 mila euro).
Ma chi si aggiudica il quadro? Nominalmente è una signora, Orietta Adam. Dietro, però, il suggeritore e finanziatore è un uomo, Denis Mahon, che è fra i massimi collezionisti e storici dell’arte, specie del barocco. Ha collaborato con molti musei italiani. È proprietario di capolavori del Rinascimento. È lui che versa le 42 mila sterline e fa ripulire la tela. Ed è lui che toglie ogni dubbio: altro che copia, quelli sono «I bari» del Caravaggio. Valore dieci milioni di sterline, 13 milioni di euro.
Fulmine a ciel sereno per l’erede della «crosta», Mr. Lancelot William Thwaytes, che pensava di avere concluso un discreto affare con le 42 mila sterline. Che sia un Caravaggio non c’è dubbio (lo confermeranno anche Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani ed ex ministro dei Beni culturali, e Mina Gregori, accademica dei Lincei, la più importante studiosa del Caravaggio).
Al povero e sprovveduto Lancelot non resta che una strada: la causa a Sotheby’s per «negligenza» nella valutazione dell’opera. Via impervia. Da capire, perché conservare un tesoro (senza comunque sapere di averlo) e svenderlo, è pur sempre un dispiacere. Ma la riparazione tardiva risulta impraticabile.
L’Alta corte di Londra dà ragione alla casa d’aste: era pressoché impossibile identificare l’autore. Il quadro, prima dell’acquisto, era in condizioni tali da nascondere i particolari per l’attribuzione. Merito del fiuto e della competenza di David Mahon che l’ha riportato agli antichi splendori consentendo dunque la scoperta.
Peccato che David Mahon sia nel frattempo morto centenario. Ha lasciato la sua raccolta di 56 capolavori ai musei inglesi e «I bari» in esposizione all’Ordine di San Giovanni in Clerkenwell. A mister Lancelot non resta che una visita (che è gratuita) per andare ad ammirarlo. Meditando se proporre appello o darsi per sconfitto. dagospia
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Vedersi sfilare dieci milioni di sterline, vale a dire quei 13 milioni di euro che vale l’olio su tela del Caravaggio dal titolo «I bari», è un brutto colpo. Ma il discendente di uno stimato chirurgo della Royal Navy, Lancelot William Thwaytes, un po’ se l’è andata a cercare. Quando hai in mano qualcosa che sospetti possa essere un tesoro sarebbe meglio ascoltare non dieci ma cento, e forse più, esperti prima di metterlo all’asta.
Rientrarne poi in possesso è impossibile. Ed è pure impossibile, ciò hanno stabilito i giudici dell’Alta corte londinese, chiedere i danni a chi non è stato in grado di attribuire il capolavoro al suo grande, unico e vero maestro, Michelangelo Merisi.
È un mezzo giallo. O una beffa catastrofica (per chi esce a pezzi dalla causa), con tanti protagonisti e con tanti critici ed esperti d’arte messi di mezzo. E ruota attorno al quadro di 94 centimetri per 131 che il Caravaggio dipinse nel 1594. Si pensava, fino a qualche tempo fa, che l’originale fosse in Texas al Kimbell Art Museum. Invece in Inghilterra al Museo dell’Ordine di San Giovanni, nella zona di Clerkenwell (gioiellino fuori dai circuiti turistici) ecco che compare, lasciatovi dal collezionista e storico Denis Mahon, lo splendido dipinto.
E pensare che oltre mezzo secolo fa, nel 1962, la famiglia di Lancelot William Thwaytes l’aveva acquistato per 140 sterline: solo una crosta, bella ma uno scarto di magazzino. Come tale trattato fino al 2006 quando il suo legittimo proprietario, per l’appunto Mr. Lancelot, lo porta alla casa d’aste Sotheby’s. Che non sia proprio un’opera da buttare via è chiaro da subito. Sotheby’s chiede il conforto di stimati professori.
S’interpellano la biografa del Caravaggio, Helen Langdon, poi lo storico dell’arte americano Richard Spear. E il verdetto è che si tratta di una copia attribuibile alla scuola del Caravaggio ma non al Caravaggio stesso. Così la tela va all’asta. E con un risultato da non disprezzare visto che la si batte per 42 mila sterline (oggi 55 mila euro).
Ma chi si aggiudica il quadro? Nominalmente è una signora, Orietta Adam. Dietro, però, il suggeritore e finanziatore è un uomo, Denis Mahon, che è fra i massimi collezionisti e storici dell’arte, specie del barocco. Ha collaborato con molti musei italiani. È proprietario di capolavori del Rinascimento. È lui che versa le 42 mila sterline e fa ripulire la tela. Ed è lui che toglie ogni dubbio: altro che copia, quelli sono «I bari» del Caravaggio. Valore dieci milioni di sterline, 13 milioni di euro.
Fulmine a ciel sereno per l’erede della «crosta», Mr. Lancelot William Thwaytes, che pensava di avere concluso un discreto affare con le 42 mila sterline. Che sia un Caravaggio non c’è dubbio (lo confermeranno anche Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani ed ex ministro dei Beni culturali, e Mina Gregori, accademica dei Lincei, la più importante studiosa del Caravaggio).
Al povero e sprovveduto Lancelot non resta che una strada: la causa a Sotheby’s per «negligenza» nella valutazione dell’opera. Via impervia. Da capire, perché conservare un tesoro (senza comunque sapere di averlo) e svenderlo, è pur sempre un dispiacere. Ma la riparazione tardiva risulta impraticabile.
L’Alta corte di Londra dà ragione alla casa d’aste: era pressoché impossibile identificare l’autore. Il quadro, prima dell’acquisto, era in condizioni tali da nascondere i particolari per l’attribuzione. Merito del fiuto e della competenza di David Mahon che l’ha riportato agli antichi splendori consentendo dunque la scoperta.
Peccato che David Mahon sia nel frattempo morto centenario. Ha lasciato la sua raccolta di 56 capolavori ai musei inglesi e «I bari» in esposizione all’Ordine di San Giovanni in Clerkenwell. A mister Lancelot non resta che una visita (che è gratuita) per andare ad ammirarlo. Meditando se proporre appello o darsi per sconfitto. dagospia
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Re: Arte del Rinascimento
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Re: Arte del Rinascimento
Piero della Francesca
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Piero della Francesca è senza dubbio uno dei più grandi pittori italiani del Quattrocento. La sua pittura spaziosa, monumentale e impassibilmente razionale è senza dubbio uno dei raggiungimenti più alti degli ideali artistici del primo Rinascimento, un'età in cui arte e scienza erano unite da vincoli profondi. Come Leonardo da Vinci, nato due generazioni dopo di lui, Piero fu un grande sperimentatore: grande maestro dell'affresco, tecnica nella quale eccelse, fu interessato soprattutto all'applicazione delle regole recentemente riscoperte della prospettiva alla pittura narrativa e devozionale: l'assoluto rigore matematico delle sue creazioni contribuisce ad esaltare la qualità astratta ed iconica della sua pittura, conferendo ai suoi capolavori una potente valenza sacrale.
«Monarca della pittura» ai suoi tempi - come lo dichiarò il concittadino Luca Pacioli (1494) -, poco dopo la morte la sua opera venne ben presto dimenticata, se si eccettuano il profilo che gli dedicò Giorgio Vasari nelle due edizioni delle sue Vite (1550; 1568) e i ricordi per la sua attività di teorico della prospettiva contenuti in alcuni trattati cinquecenteschi di architettura. La grande stagione della «maniera moderna» con i suoi protagonisti - Leonardo, Raffaello e Michelangelo - fece d'un tratto apparire ad artisti, committenti e collezionisti di un gusto ormai superato tutti i capolavori dei grandi maestri del Quattrocento. Si dovette attendere la riscoperta sette e ottocentesca dei «pre-raffaelliti» perché amatori e storici dell'arte ritornassero a guardare e ad apprezzare le opere del maestro di Sansepolcro: ma sono stati soprattutto gli studi novecenteschi a far riacquistare a Piero della Francesca quel ruolo di primo piano che gli compete nello sviluppo della pittura italiana moderna.
Piero nacque intorno al 1415 a Borgo San Sepolcro: il padre, Benedetto, era mercante di cuoiami e di lane, mentre la madre, Romana di Perino, era originaria del vicino borgo di Monterchi. Sansepolcro era allora un fiorente centro strategicamente collocato all'incrocio tra Toscana, Marche ed Umbria: passato dalla signoria dei Malatesta al controllo dello Stato della Chiesa nel 1431, papa Eugenio IV lo cedette, poco dopo la battaglia di Anghiari (29 giugno 1440), al Comune di Firenze per 25.000 fiorini (20 marzo 1441). Nella città dell'alta val tiberina Piero dovette fare il suo primissimo apprendistato pittorico, insieme al poco conosciuto Antonio d'Anghiari: ma le sue prime opere note manifestano una profonda comprensione dell'arte fiorentina del primo Quattrocento, in particolare della pittura chiara, luminosa e prospettica di Domenico Veneziano. A fianco di questo artista Piero è infatti documentato nel 1439 nel capoluogo toscano, come aiuto per l'esecuzione degli affreschi con le Storie della Vergine per il Coro della chiesa di Sant'Egidio. Anche i capolavori di Donatello e Masaccio dovettero lasciare sul giovane pittore una traccia profonda e indelebile. I riflessi più immediati di questa educazione artistica si ritrovano in una delle opere più antiche di Piero che ci sia pervenuta, il Battesimo di Cristo (Londra, National Gallery), proveniente da Sansepolcro e acquisito dal museo inglese poco dopo la metà del secolo scorso.
A partire dal quinto decennio del Quattrocento la carriera di Piero si svolse alternando soggiorni presso le principali corti dell'Italia centro-settentrionale e nella città natale. Nella seconda metà degli anni quaranta dovrebbe collocarsi la sua attività a Ferrara, dove lavorò per il marchese Leonello d'Este, uno dei più raffinati mecenati del Rinascimento: purtroppo interamente perduti sono gli affreschi che Piero eseguì lì nel Castello estense e nella chiesa di Sant'Agostino. Datato 1451 è invece l'affresco raffigurante Sigismondo Pandolfo Malatesta in adorazione di San Sigismondo all'interno del Tempio Malatestiano di Rimini, rinnovato in forme rinascimentali da Leon Battista Alberti; più tardi Piero replicò il ritratto di profilo del condottiero malatestiano nella tavola oggi al Louvre, concordemente assegnatagli dopo la pulitura e le analisi del 1977. È probabile che nella città romagnola il pittore biturgense abbia stretto delle relazioni proprio con l'Alberti, che dovette incoraggiarlo a perseguire la sua indagine appassionata sulle leggi prospettiche e proporzionali.
Frattanto, nel 1445, i suoi concittadini gli avevano commissionato il grande Polittico della Misericordia (Sansepolcro, Museo Civico), al quale l'artista lavorerà in modo discontinuo, per consegnarlo dopo tante insistenze solo nel 1462: il vigoroso impianto plastico delle figure - di ascendenza masaccesca - è messo in risalto dal rigore astratto della composizione e dal valore luminoso ed atmosferico attribuito persino all'arcaico fondo d'oro. Le scene della predella, probabilmente ideate da Piero, vennero eseguite dal monaco camaldolese fiorentino Giuliano Amedei.
Nel 1452, alla morte del pittore fiorentino ultratradizionalista Bicci di Lorenzo, Piero accettò l'incarico di proseguirne il lavoro nella grande cappella absidale della chiesa di San Francesco ad Arezzo, su commissione della famiglia Bacci. Le Storie della Vera Croce, affrescate in tre registri sovraspposti sulle alte pareti, lo occuperanno in una prima fase fino alla fine degli anni cinquanta, quando Piero si trasferì temporaneamente a Roma (1459), invitato dal papa umanista Pio II Piccolomini per dipingere a fresco alcune scene nei palazzi vaticani, distrutte cinquant'anni più tardi per far posto agli affreschi di Raffaello nelle celebri Stanze. Il ciclo di Arezzo, certamente terminato entro il 1465 dopo il rientro dalla città pontificia, rimane così come una fulgida testimonianza dell'arte di Piero della Francesca nella fase centrale della sua attività ed uno dei maggiori cicli di pittura murale nell'Italia del Quattrocento.
Sin dal 1454 un'altra prestigiosa commissione gli era giunta dai propri concittadini, l'esecuzione del Polittico destinato all'altar maggiore della chiesa degli Agostiniani: ancora una volta il lavoro si protrasse a lungo e il grande dipinto, smembrato già nel Cinquecento, fu consegnato solo negli anni sessanta. Perduta la centrale Madonna col bambino, i pannelli laterali, effigiantiSant'Agostino, San Michele, San Giovanni Evangelista e San Nicola da Tolentino, sono oggi divisi tra diversi musei (rispettivamente Lisbona, Londra, New York, Milano) mentre alcuni elementi della predella sono divisi tra Washington (Sant'Apollonia) e la collezione Frick di New York (due santi agostiniani e la Crocifissione). All'inizio degli anni sessanta risalgono pure la commovente Madonna del parto per la cappella del cimitero di Monterchi e la straordinaria Resurrezione nella Sala dei Conservatori della Residenza (il Palazzo Comunale) di Sansepolcro (oggi sede del Museo Civico), al contempo simbolo civico e sacra icona, che lo scrittore contemporaneo Aldous Huxley ha definito «la più bella pittura del mondo».
Nel 1954 venne ritrovato nella chiesa di Sant'Agostino a Sansepolcro un frammento di affresco con una figura di santo, probabilmente San Giuliano (oggi Sansepolcro, Museo Civico), un'opera di grande eleganza, eseguita con il consueto magistero tecnico probabilmente dopo il ritorno dal soggiorno romano del 1458-59. Ancora discussa è invece la datazione del Polittico per le monache francescane di Sant'Antonio a Perugia (Perugia, Galleria Nazionale dell'Umbria), nel quale ancora una volta Piero riesce a superare le limitazioni dell'antiquato fondo oro impostogli dalle committenti, lasciando libero spazio alla sua genialità nelle belle scene della predella e nel prodigioso tour de force prospettico dell'Annunciazione sovrastante.
Nel corso degli anni sessanta e settanta Piero strinse dei rapporti particolarmente intensi con la splendida corte di Urbino e con il duca Federigo del Montefeltro, per il quale portò a termine alcune delle sue opere più celebri: il dittico con i ritratti dei duchi, Federigo e la moglie Battista Sforza (Firenze, Galleria degli Uffizi), la celebre Flagellazione (Urbino, Galleria Nazionale dell'Umbria), una vera e propria summa delle sue indagini sulla prospettiva, nonché la Sacra Conversazione per la chiesa di San Bernardino (Milano, Pinacoteca di Brera), con il celebre ritratto in armatura del duca Federigo (1472-74): un dipinto rivoluzionario che rompe con la tradizione medievale del polittico a scomparti per proporre il concentrato dialogo tra la Vergine e i Santi in uno spazio prospetticamente unitario e misurabile, in diretto rapporto con lo spettatore.
In questi dipinti dell'estrema maturità, cui si devono aggiungere almeno l'intima Madonna di Senigallia (Urbino, Galleria Nazionale dell'Umbria) e la poetica Natività di Londra (National Gallery), Piero rivela un interesse sempre più profondo per la coeva pittura di Fiandra, che si manifesta nella più complessa tessitura cromatica e nell'osservazione minuziosa della realtà, analiticamente indagata nella sua relazione con la luce.
In questi anni urbinati, stimolato dall'ambiente intellettuale della corte, Piero si dedicò anche alla stesura di alcuni trattati teorici, intesi a ricondurre alla essenziale e misurabile regolarità delle forme geometriche l'infinità varietà degli oggetti naturali. Sono giunti sino a noi il Trattato dell'Abaco, una sorta di manuale di matematica elementare come quelli in uso nelle scuole d'abaco; il Libellus de quinque corporibus regularibus, dedicato a Guidobaldo duca di Urbino e pubblicato da Luca Pacioli dopo la morte dell'artista come opera propria; infine la fatica maggiore, il De prospectiva pingendi, trattato ricco di disegni e inteso come guida pratica alla prospettiva.
Divenuto cieco nei suoi anni estremi, Piero della Francesca si spense a Borgo San Sepolcro il 12 ottobre del 1492.
Fonte: Fondazione|PierodellaFrancesca
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Piero della Francesca è senza dubbio uno dei più grandi pittori italiani del Quattrocento. La sua pittura spaziosa, monumentale e impassibilmente razionale è senza dubbio uno dei raggiungimenti più alti degli ideali artistici del primo Rinascimento, un'età in cui arte e scienza erano unite da vincoli profondi. Come Leonardo da Vinci, nato due generazioni dopo di lui, Piero fu un grande sperimentatore: grande maestro dell'affresco, tecnica nella quale eccelse, fu interessato soprattutto all'applicazione delle regole recentemente riscoperte della prospettiva alla pittura narrativa e devozionale: l'assoluto rigore matematico delle sue creazioni contribuisce ad esaltare la qualità astratta ed iconica della sua pittura, conferendo ai suoi capolavori una potente valenza sacrale.
«Monarca della pittura» ai suoi tempi - come lo dichiarò il concittadino Luca Pacioli (1494) -, poco dopo la morte la sua opera venne ben presto dimenticata, se si eccettuano il profilo che gli dedicò Giorgio Vasari nelle due edizioni delle sue Vite (1550; 1568) e i ricordi per la sua attività di teorico della prospettiva contenuti in alcuni trattati cinquecenteschi di architettura. La grande stagione della «maniera moderna» con i suoi protagonisti - Leonardo, Raffaello e Michelangelo - fece d'un tratto apparire ad artisti, committenti e collezionisti di un gusto ormai superato tutti i capolavori dei grandi maestri del Quattrocento. Si dovette attendere la riscoperta sette e ottocentesca dei «pre-raffaelliti» perché amatori e storici dell'arte ritornassero a guardare e ad apprezzare le opere del maestro di Sansepolcro: ma sono stati soprattutto gli studi novecenteschi a far riacquistare a Piero della Francesca quel ruolo di primo piano che gli compete nello sviluppo della pittura italiana moderna.
Piero nacque intorno al 1415 a Borgo San Sepolcro: il padre, Benedetto, era mercante di cuoiami e di lane, mentre la madre, Romana di Perino, era originaria del vicino borgo di Monterchi. Sansepolcro era allora un fiorente centro strategicamente collocato all'incrocio tra Toscana, Marche ed Umbria: passato dalla signoria dei Malatesta al controllo dello Stato della Chiesa nel 1431, papa Eugenio IV lo cedette, poco dopo la battaglia di Anghiari (29 giugno 1440), al Comune di Firenze per 25.000 fiorini (20 marzo 1441). Nella città dell'alta val tiberina Piero dovette fare il suo primissimo apprendistato pittorico, insieme al poco conosciuto Antonio d'Anghiari: ma le sue prime opere note manifestano una profonda comprensione dell'arte fiorentina del primo Quattrocento, in particolare della pittura chiara, luminosa e prospettica di Domenico Veneziano. A fianco di questo artista Piero è infatti documentato nel 1439 nel capoluogo toscano, come aiuto per l'esecuzione degli affreschi con le Storie della Vergine per il Coro della chiesa di Sant'Egidio. Anche i capolavori di Donatello e Masaccio dovettero lasciare sul giovane pittore una traccia profonda e indelebile. I riflessi più immediati di questa educazione artistica si ritrovano in una delle opere più antiche di Piero che ci sia pervenuta, il Battesimo di Cristo (Londra, National Gallery), proveniente da Sansepolcro e acquisito dal museo inglese poco dopo la metà del secolo scorso.
A partire dal quinto decennio del Quattrocento la carriera di Piero si svolse alternando soggiorni presso le principali corti dell'Italia centro-settentrionale e nella città natale. Nella seconda metà degli anni quaranta dovrebbe collocarsi la sua attività a Ferrara, dove lavorò per il marchese Leonello d'Este, uno dei più raffinati mecenati del Rinascimento: purtroppo interamente perduti sono gli affreschi che Piero eseguì lì nel Castello estense e nella chiesa di Sant'Agostino. Datato 1451 è invece l'affresco raffigurante Sigismondo Pandolfo Malatesta in adorazione di San Sigismondo all'interno del Tempio Malatestiano di Rimini, rinnovato in forme rinascimentali da Leon Battista Alberti; più tardi Piero replicò il ritratto di profilo del condottiero malatestiano nella tavola oggi al Louvre, concordemente assegnatagli dopo la pulitura e le analisi del 1977. È probabile che nella città romagnola il pittore biturgense abbia stretto delle relazioni proprio con l'Alberti, che dovette incoraggiarlo a perseguire la sua indagine appassionata sulle leggi prospettiche e proporzionali.
Frattanto, nel 1445, i suoi concittadini gli avevano commissionato il grande Polittico della Misericordia (Sansepolcro, Museo Civico), al quale l'artista lavorerà in modo discontinuo, per consegnarlo dopo tante insistenze solo nel 1462: il vigoroso impianto plastico delle figure - di ascendenza masaccesca - è messo in risalto dal rigore astratto della composizione e dal valore luminoso ed atmosferico attribuito persino all'arcaico fondo d'oro. Le scene della predella, probabilmente ideate da Piero, vennero eseguite dal monaco camaldolese fiorentino Giuliano Amedei.
Nel 1452, alla morte del pittore fiorentino ultratradizionalista Bicci di Lorenzo, Piero accettò l'incarico di proseguirne il lavoro nella grande cappella absidale della chiesa di San Francesco ad Arezzo, su commissione della famiglia Bacci. Le Storie della Vera Croce, affrescate in tre registri sovraspposti sulle alte pareti, lo occuperanno in una prima fase fino alla fine degli anni cinquanta, quando Piero si trasferì temporaneamente a Roma (1459), invitato dal papa umanista Pio II Piccolomini per dipingere a fresco alcune scene nei palazzi vaticani, distrutte cinquant'anni più tardi per far posto agli affreschi di Raffaello nelle celebri Stanze. Il ciclo di Arezzo, certamente terminato entro il 1465 dopo il rientro dalla città pontificia, rimane così come una fulgida testimonianza dell'arte di Piero della Francesca nella fase centrale della sua attività ed uno dei maggiori cicli di pittura murale nell'Italia del Quattrocento.
Sin dal 1454 un'altra prestigiosa commissione gli era giunta dai propri concittadini, l'esecuzione del Polittico destinato all'altar maggiore della chiesa degli Agostiniani: ancora una volta il lavoro si protrasse a lungo e il grande dipinto, smembrato già nel Cinquecento, fu consegnato solo negli anni sessanta. Perduta la centrale Madonna col bambino, i pannelli laterali, effigiantiSant'Agostino, San Michele, San Giovanni Evangelista e San Nicola da Tolentino, sono oggi divisi tra diversi musei (rispettivamente Lisbona, Londra, New York, Milano) mentre alcuni elementi della predella sono divisi tra Washington (Sant'Apollonia) e la collezione Frick di New York (due santi agostiniani e la Crocifissione). All'inizio degli anni sessanta risalgono pure la commovente Madonna del parto per la cappella del cimitero di Monterchi e la straordinaria Resurrezione nella Sala dei Conservatori della Residenza (il Palazzo Comunale) di Sansepolcro (oggi sede del Museo Civico), al contempo simbolo civico e sacra icona, che lo scrittore contemporaneo Aldous Huxley ha definito «la più bella pittura del mondo».
Nel 1954 venne ritrovato nella chiesa di Sant'Agostino a Sansepolcro un frammento di affresco con una figura di santo, probabilmente San Giuliano (oggi Sansepolcro, Museo Civico), un'opera di grande eleganza, eseguita con il consueto magistero tecnico probabilmente dopo il ritorno dal soggiorno romano del 1458-59. Ancora discussa è invece la datazione del Polittico per le monache francescane di Sant'Antonio a Perugia (Perugia, Galleria Nazionale dell'Umbria), nel quale ancora una volta Piero riesce a superare le limitazioni dell'antiquato fondo oro impostogli dalle committenti, lasciando libero spazio alla sua genialità nelle belle scene della predella e nel prodigioso tour de force prospettico dell'Annunciazione sovrastante.
Nel corso degli anni sessanta e settanta Piero strinse dei rapporti particolarmente intensi con la splendida corte di Urbino e con il duca Federigo del Montefeltro, per il quale portò a termine alcune delle sue opere più celebri: il dittico con i ritratti dei duchi, Federigo e la moglie Battista Sforza (Firenze, Galleria degli Uffizi), la celebre Flagellazione (Urbino, Galleria Nazionale dell'Umbria), una vera e propria summa delle sue indagini sulla prospettiva, nonché la Sacra Conversazione per la chiesa di San Bernardino (Milano, Pinacoteca di Brera), con il celebre ritratto in armatura del duca Federigo (1472-74): un dipinto rivoluzionario che rompe con la tradizione medievale del polittico a scomparti per proporre il concentrato dialogo tra la Vergine e i Santi in uno spazio prospetticamente unitario e misurabile, in diretto rapporto con lo spettatore.
In questi dipinti dell'estrema maturità, cui si devono aggiungere almeno l'intima Madonna di Senigallia (Urbino, Galleria Nazionale dell'Umbria) e la poetica Natività di Londra (National Gallery), Piero rivela un interesse sempre più profondo per la coeva pittura di Fiandra, che si manifesta nella più complessa tessitura cromatica e nell'osservazione minuziosa della realtà, analiticamente indagata nella sua relazione con la luce.
In questi anni urbinati, stimolato dall'ambiente intellettuale della corte, Piero si dedicò anche alla stesura di alcuni trattati teorici, intesi a ricondurre alla essenziale e misurabile regolarità delle forme geometriche l'infinità varietà degli oggetti naturali. Sono giunti sino a noi il Trattato dell'Abaco, una sorta di manuale di matematica elementare come quelli in uso nelle scuole d'abaco; il Libellus de quinque corporibus regularibus, dedicato a Guidobaldo duca di Urbino e pubblicato da Luca Pacioli dopo la morte dell'artista come opera propria; infine la fatica maggiore, il De prospectiva pingendi, trattato ricco di disegni e inteso come guida pratica alla prospettiva.
Divenuto cieco nei suoi anni estremi, Piero della Francesca si spense a Borgo San Sepolcro il 12 ottobre del 1492.
Fonte: Fondazione|PierodellaFrancesca
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Re: Arte del Rinascimento
FILIPPO BRUNELLESCHI
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Filippo Brunelleschi nacque a Firenze nel 1377. Svolse il suo apprendistato di artista in una bottega di orafo, eseguì per l'altare d'argento del Duomo di Pistoia due figure di Padri della chiesa e due busti di Profeti.
Nel 1401 si mise in luce con il concorso per la seconda porta bronzea del battistero di Firenze, che gli valse la vittoria ex-equo con Lorenzo Ghiberti realizzatore dell'opera.
La formella di Brunelleschi, rappresentante il Sacrificio di Isacco, ha un'effetto drammatico dato dalla composizione mossa che si contrappone al sereno classicismo della formella con lo stesso soggetto di Ghiberti.
Tra le altre opere di scultura eseguite da Brunelleschi abbiamo il Crocifisso ligneo di Santa Maria Novella che egli realizzò tra il 1418 e il 1420, con proporzioni perfettamente armoniche in polemica con il Crocifisso che Donatello realizzò per la chiesa di Santa Croce giudicata dal Brunelleschi stesso come troppo rozzo e contadinesco.
Nel 1418 l'Arte della Lana bandì un concorso per la realizzazione della cupola di Santa Maria del Fiore, realizzazione della quale presentava numerosi problemi, cioè l'ampiezza e la notevole altezza, che non permettevano l'uso di impalcature da terra. Brunelleschi utilizzò una particolare struttura muraria a corsi di mattoni disposti a spina di pesce che permettevano l'innalzamento senza bisogno di sostegni. Inoltre dette alla cupola una forma a sesto acuto costolonata in modo da dividere la superficie in otto spicchi che consentissero un facile inserimento sul tamburo precedentemente costruito in forma ottagonale.
Alla sommità della cupola si erige la lanterna a forma di tempietto circolare che rappresenta il perno dell'intera costruzione.
La sua architettura è rigorosamente razionale, basata sul linearismo prospettico e sulla chiara modulazione dello spazio, per esempio nella Loggia per l'Ospedale degli Innocenti costruita dall'artista tra il 1421 e il 1424, nella quale la chiarezza, la semplicità e linearità delle forme rappresentano una novità.
Intorno al 1423 Brunelleschi inizia la realizzazione della chiesa di San Lorenzo che si completerà nel 1428 con la costruzione della Sacrestia. La chiesa all'interno è composta di tre navate divise da archi a tutto sesto che riprendono i motivi della Loggia e che danno una illusoria sensazione di profondità dello spazio. La Sacrestia invece è un vano cubico con cupola emisferica divisa in dodici spicchi.
Tra il 1430 e il 1444 Brunelleschi realizzò per la famiglia Pazzi la cappella che si trova nel chiostro di Santa Croce. Essa ha una pianta rettangolare con un vano centrale quadrato e due ali laterali. Il portico che si trova sul davanti fu realizzato da un allievo del maestro dopo la sua morte ma è rimasto incompiuto.
Nel 1444 Brunelleschi iniziò anche i lavori per ricostruire la chiesa di Santo Spirito, imponente e monumentale.
Filippo Brunelleschi morì a Firenze nel 1446.
Fonte: StoriadellArte
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Filippo Brunelleschi nacque a Firenze nel 1377. Svolse il suo apprendistato di artista in una bottega di orafo, eseguì per l'altare d'argento del Duomo di Pistoia due figure di Padri della chiesa e due busti di Profeti.
Nel 1401 si mise in luce con il concorso per la seconda porta bronzea del battistero di Firenze, che gli valse la vittoria ex-equo con Lorenzo Ghiberti realizzatore dell'opera.
La formella di Brunelleschi, rappresentante il Sacrificio di Isacco, ha un'effetto drammatico dato dalla composizione mossa che si contrappone al sereno classicismo della formella con lo stesso soggetto di Ghiberti.
Tra le altre opere di scultura eseguite da Brunelleschi abbiamo il Crocifisso ligneo di Santa Maria Novella che egli realizzò tra il 1418 e il 1420, con proporzioni perfettamente armoniche in polemica con il Crocifisso che Donatello realizzò per la chiesa di Santa Croce giudicata dal Brunelleschi stesso come troppo rozzo e contadinesco.
Nel 1418 l'Arte della Lana bandì un concorso per la realizzazione della cupola di Santa Maria del Fiore, realizzazione della quale presentava numerosi problemi, cioè l'ampiezza e la notevole altezza, che non permettevano l'uso di impalcature da terra. Brunelleschi utilizzò una particolare struttura muraria a corsi di mattoni disposti a spina di pesce che permettevano l'innalzamento senza bisogno di sostegni. Inoltre dette alla cupola una forma a sesto acuto costolonata in modo da dividere la superficie in otto spicchi che consentissero un facile inserimento sul tamburo precedentemente costruito in forma ottagonale.
Alla sommità della cupola si erige la lanterna a forma di tempietto circolare che rappresenta il perno dell'intera costruzione.
La sua architettura è rigorosamente razionale, basata sul linearismo prospettico e sulla chiara modulazione dello spazio, per esempio nella Loggia per l'Ospedale degli Innocenti costruita dall'artista tra il 1421 e il 1424, nella quale la chiarezza, la semplicità e linearità delle forme rappresentano una novità.
Intorno al 1423 Brunelleschi inizia la realizzazione della chiesa di San Lorenzo che si completerà nel 1428 con la costruzione della Sacrestia. La chiesa all'interno è composta di tre navate divise da archi a tutto sesto che riprendono i motivi della Loggia e che danno una illusoria sensazione di profondità dello spazio. La Sacrestia invece è un vano cubico con cupola emisferica divisa in dodici spicchi.
Tra il 1430 e il 1444 Brunelleschi realizzò per la famiglia Pazzi la cappella che si trova nel chiostro di Santa Croce. Essa ha una pianta rettangolare con un vano centrale quadrato e due ali laterali. Il portico che si trova sul davanti fu realizzato da un allievo del maestro dopo la sua morte ma è rimasto incompiuto.
Nel 1444 Brunelleschi iniziò anche i lavori per ricostruire la chiesa di Santo Spirito, imponente e monumentale.
Filippo Brunelleschi morì a Firenze nel 1446.
Fonte: StoriadellArte
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Re: Arte del Rinascimento
L'incredibile storia del quadro di Leonardo messo all'asta
Sessant'anni fa Sotheby's lo aveva battuto per 45 dollari, ignorandone il vero autore. Ora che è stato riconosciuto come l'unico quadro di Leonardo da Vinci ancora in mani private, Christie's prevede di ricavarne 75 milioni di sterline, ovvero circa 100 milioni di dollari. Il 'Salvator Mundi', dipinto intorno all'inizio del '500 dal genio del Rinascimento, sei anni dopo l'attribuzione e la clamorosa esposizione alla National Gallery, va all'asta, ultimo capitolo della storia rocambolesca e secolare del dipinto.
Dalle corti reali alla svendita di Sotheby's
Commissionato dal re di Francia Luigi XII, il 'Salvator Mundi' figurò all'inizio del diciassettesimo secolo nella straordinaria collezione privata di Carlo I d'Inghilterra. Il dipinto sopravvisse allo smembramento della raccolta avvenuta dopo la decapitazione del sovrano, nel 1649, e fu ereditato dal figlio, Carlo II. Non è noto come il quadro finisca, il secolo successivo, nella galleria privata dei duchi di Buckingham, che lo venderanno all'asta nel 1763 insieme a tutte le altre opere conservate nel Buckingham Palace, appena ceduto alla famiglia reale.
L'incredibile storia del quadro di Leonardo messo all'asta
Del 'Salvator Mundi' non si seppe più nulla fino al 1900, quando - spiega il sito della casa d'aste - fu acquistato da Sir Charles Robinson per la Cook Collection. Il volto e i capelli del Cristo erano stati nel frattempo ridipinti e l'autore fu identificato in Bernardino Luini, un allievo di Leonardo. La Cook Collection venne poi dispersa e il capolavoro, scambiato per una crosta qualsiasi, riapparve nel 1958 a un'asta di Sotheby's, dove viene aggiudicato per 45 dollari per poi scomparire di nuovo fino al 2005, quando viene rilevato da un consorzio di uomini d'affari statunitensi. Anche in questo caso l'autore viene ritenuto un allievo di Leonardo, non il Luini ma Giovanni Antonio Boltraffio.Questa volta, però, viene sollevato il dubbio che l'autore potesse essere il maestro stesso. Gli specialisti si mettono al lavoro. Dopo sei anni di complesse ricerche, il 'Salvator Mundi' viene autenticato quale opera di Leonardo e nel 2011 diventa la sorpresa che fa entrare nella storia la mostra della National Gallery dedicata al da Vinci.
Falliti i tentativi del museo di Dallas di acquistarlo, il quadro viene messo all'asta da Christie. Se vi avanzano 100 milioni di dollari, l'appuntamento è il 15 novembre a New York.AGI.IT
Christie's stima di ricavarne 100 milioni di dollari. Sotheby's, nel 1958, lo aveva ceduto per pochi spiccioli
[Devi essere iscritto e connesso per vedere questa immagine]Sessant'anni fa Sotheby's lo aveva battuto per 45 dollari, ignorandone il vero autore. Ora che è stato riconosciuto come l'unico quadro di Leonardo da Vinci ancora in mani private, Christie's prevede di ricavarne 75 milioni di sterline, ovvero circa 100 milioni di dollari. Il 'Salvator Mundi', dipinto intorno all'inizio del '500 dal genio del Rinascimento, sei anni dopo l'attribuzione e la clamorosa esposizione alla National Gallery, va all'asta, ultimo capitolo della storia rocambolesca e secolare del dipinto.
Dalle corti reali alla svendita di Sotheby's
Commissionato dal re di Francia Luigi XII, il 'Salvator Mundi' figurò all'inizio del diciassettesimo secolo nella straordinaria collezione privata di Carlo I d'Inghilterra. Il dipinto sopravvisse allo smembramento della raccolta avvenuta dopo la decapitazione del sovrano, nel 1649, e fu ereditato dal figlio, Carlo II. Non è noto come il quadro finisca, il secolo successivo, nella galleria privata dei duchi di Buckingham, che lo venderanno all'asta nel 1763 insieme a tutte le altre opere conservate nel Buckingham Palace, appena ceduto alla famiglia reale.
L'incredibile storia del quadro di Leonardo messo all'asta
Del 'Salvator Mundi' non si seppe più nulla fino al 1900, quando - spiega il sito della casa d'aste - fu acquistato da Sir Charles Robinson per la Cook Collection. Il volto e i capelli del Cristo erano stati nel frattempo ridipinti e l'autore fu identificato in Bernardino Luini, un allievo di Leonardo. La Cook Collection venne poi dispersa e il capolavoro, scambiato per una crosta qualsiasi, riapparve nel 1958 a un'asta di Sotheby's, dove viene aggiudicato per 45 dollari per poi scomparire di nuovo fino al 2005, quando viene rilevato da un consorzio di uomini d'affari statunitensi. Anche in questo caso l'autore viene ritenuto un allievo di Leonardo, non il Luini ma Giovanni Antonio Boltraffio.Questa volta, però, viene sollevato il dubbio che l'autore potesse essere il maestro stesso. Gli specialisti si mettono al lavoro. Dopo sei anni di complesse ricerche, il 'Salvator Mundi' viene autenticato quale opera di Leonardo e nel 2011 diventa la sorpresa che fa entrare nella storia la mostra della National Gallery dedicata al da Vinci.
Falliti i tentativi del museo di Dallas di acquistarlo, il quadro viene messo all'asta da Christie. Se vi avanzano 100 milioni di dollari, l'appuntamento è il 15 novembre a New York.AGI.IT
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DIETRO OGNI PROBLEMA C'E' UN' OPPORTUNITA' (GALILEO GALILEI)
Non curante, ma non indifferente
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